L’ora del crepuscolo, la recensione

Un po’ come se il contenuto del film ne avesse mangiato la forma, L’ora del crepuscolo risulta esso stesso un film privo di voglia di raccontare, vuoto e disilluso come i suoi personaggi.

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L’ora del crepuscolo, la recensione del film di Braden King al cinema dal 20 gennaio

Tratto dal romanzo omonimo di Carter Sickels, L’ora del crepuscolo di Braden King punta a raccontare il disagio sociale di un’America periferica, mangiata dalla disoccupazione e dal traffico di droga. Nello specifico, il microcosmo qui osservato è quello di una piccola cittadina del Kentucky in cui, dopo la chiusura della miniera locale (un antefatto che viene fatto intuire a grandi linee), giovani adulti come il protagonista Cole (Philip Ettinger) cercano di riempire quel vuoto di disillusione e di noia spacciando qua e là e ritrovandosi nel pub per ammazzare il tempo.

Nonostante il chiaro intento del film di denunciare uno stato di cose che vada oltre la specificità raccontata (e il film, infatti, sembra cercare consciamente di non “geolocalizzarsi”, rimanendo sempre vago nei suoi riferimenti spaziali), c’è tuttavia qualcosa di fastidiosamente straniante nel modo in cui King e la sceneggiatura di Elizabeth Palmore provano a fare propria questa alienazione della provincia.

Un po’ come se il contenuto del film ne avesse mangiato la forma, L’ora del crepuscolo risulta infatti esso stesso un film privo di voglia di raccontare - vuoto e disilluso come i suoi personaggi - e privo di voglia di innovare, preso com’è a tappare quel vuoto con scene/elementi cliché tipici del dramma un po’ indie quale, almeno, non nasconde di essere (tra personaggi monodimensionali come la ragazza tossica in opposizione alla brava ragazza, lo sceriffo baffuto, il drogato, e dinamiche consolidate come la lite nel pub, l'amico/nemico che crea problemi, la madre problematica che ritorna...).

Che sia poco originale a L’ora del crepuscolo glielo si può certamente perdonare: il punto è che mentre ci si muove qua e là assieme a Cole tra casa dei nonni, il pub di quartiere, la clinica per anziani dove lavora e poco altro non si riesce a capire, per quanto ci si sforzi, quali tra i tanti piccoli spunti siano quelli importanti e quali, invece, siano secondari. Da questa confusione di intenti deriva un senso di spaesamento e distacco verso il personaggio e il racconto che, da subito, non può che sfociare in una plateale noia.

Per quanto infatti a Cole succedano cose che si percepiscono essere importanti per lo sviluppo della trama, nessuna di queste linee narrative viene mai percepita come urgente o rilevante. Che sia colpa delle continue sviolinate che accompagnano in sottofondo la quasi totalità delle scene? O della lentezza con cui si svolge qualsiasi dialogo, che si prende un sacco di tempo per dirci cose che sappiamo già dai primi dieci minuti? O è colpa della regia di King, che un po’ appisolato e un po’ perso ad osservare i paesaggi (molto belli, per carità) non aiuta di certo a dare ritmo e consistenza a una materia che sembra averne un disperato bisogno?

Forse, banalmente, se L’ora del crepuscolo risulta così svogliato e così incapace di creare ponti tra sé stesso e lo spettatore (linguistici, estetici, tematici) è perché non c’è nessun aspetto in particolare su cui il film ha deciso di rafforzarsi, facendosi sempre bastare (questa è la forte impressione) la prima trovata buona. E il risultato non potrà che essere mediocre.

Siete d’accordo con la nostra recensione di L'ora del crepuscolo? Scrivetelo nei commenti!

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