Lonely Planet, la recensione: quando il Ken di Barbie incontra il blocco dello scrittore
Il film con Liam Hemsworth e Laura Dern è meno banale di quanto potrebbe sembrare, anche grazie a una chimica indovinatissima fra i due
Land of Bad non è stato un caso: Liam Hemsworth sta diventando sempre più bravo a scegliersi i ruoli. Mentre suo fratello Chris ha mostrato via via più insofferenza per l'immagine da sex symbol un po' ebete dei film di Thor che l'hanno reso una star, Liam - che star a quei livelli non lo è mai stato - sembra aver capito come sfruttare a suo vantaggio un'immagine sostanzialmente simile: anziché farci a cazzotti o prenderla in giro con pance prostetiche e nasoni finti, l'"altro" Hemsworth si sta accontentando di trovarle una collocazione cinematografica giusta, dove abbiano senso la sua fisicità, la sua gamma espressiva limitata, ma anche (e questo è chiave) una certa aria gentile, per non dire debole, principale differenza rispetto a un fratello-sosia che l'ha sempre adombrato ma che proprio per questo non potrebbe mai fare un film come Lonely Planet.
Land of Bad, che citavamo prima, la usava per raccontare un soldato dalla faccia pulita, bravo ragazzo senza un giorno di servizio sul campo, divertendosi a scoprirgli dentro una ferocia insospettabile. Lonely Planet prende quello stesso candore e ci costruisce un personaggio che è quasi la versione realistica del Ken di Barbie prima di scoprire le delizie del patriarcato: un fidanzato adorabile, poi amante "sottomesso", che vive in un mondo abitato da donne molto più colte, rispettate e di successo di lui. Ma che a differenza di Ken non sembra starci poi così male. Owen (Hemsworth) e la sua ragazza, scrittrice bestseller, sono in vacanza in un resort popolato da romanzieri premio Pulitzer. Lei lo trascura, forse non lo rispetta, ma intanto lui scopre un'intesa con Katherine (Laura Dern), grande autrice col blocco dello scrittore.
La tentazione di liquidare Lonely Planet come "polpettone" ci sarebbe. Fotografia laccata, amore travolgente, location esotica (il Marocco): gli elementi ci sono tutti. Eppure c'è qualcosa di interessante nella scrittura di Susannah Grant (anche regista e produttrice), veterana che ha firmato di tutto da Pocahontas a Erin Brokovich a Il solista. L'idea di mettere il protagonista/spettatore maschile nei panni dell'oggettificato ("sei al massimo una piacevolezza, come l'asciugamano caldo della business class") regge molto meglio che in Barbie, anche perché rifugge l'idea predicatoria che questo debba per forza tradursi in un rancore verso l'intero genere femminile. Owen non ha problemi a non stare sotto i riflettori: basta non trattarlo male.
E la cosa più divertente è che invece Katherine, la donna di cui inizia a innamorarsi, all'inizio lo tratta malissimo. Poche interazioni attoriali sono più divertenti e indovinate di quella tra il pacioccone Hemsworth e una Laura Dern fredda come il ghiaccio, che all'inizio a malapena lo considera e anche dopo non dimentica mai di essere lì per un solo motivo - finire il suo libro. Anche grazie a loro, se Lonely Planet è un polpettone lo è in modo abbastanza acido e "sovversivo" da divertire comunque parecchio. Tocca tutti i punti che ci si aspetta. Ma non sempre nei modi che ci si aspetterebbe.