Londra 2014 - The Salvation, la recensione

Dalla Danimarca arriva il western The Salvation, che riflette sul passato dell'America e conquista grazie a un grande Mads Mikkelsen

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Chi l'avrebbe mai detto.

Conoscendo il background di Kristian Levring, tra i primi a sottoscrivere il manifesto di Dogma 95 stilato da Lars von Trier e Thomas Vinterberg, ci si sarebbe aspettati che The Salvation contenesse lo sconvolgimento dei cardini del genere, magari con note provocatorie e polemiche; senza per forza tener fede all'ormai superato voto di castità che accomunò i cineasti danesi quasi vent'anni fa, certo, ma grammaticalmente sporco, in contrasto con la tradizione d'oltreoceano.

Questo ci si sarebbe aspettati. E invece, Levring dà vita al più classico dei racconti di vendetta, confezionando quello che, a un'occhiata superficiale, è in tutto e per tutto un omaggio ai maestri del genere. Ma si rischia di passare da un errore all'altro, perdendo di vista alcuni sottili ma fondamentali punti di rottura che distinguono The Salvation dai suoi precedenti americani.

La storia è incentrata sulle tragiche vicissitudini di Jon, pacato danese immigrato nell'America dei canyon e degli sceriffi. E, soprattutto, dei fuorilegge in grado di cambiarti la vita in bene o in male con uno schiocco di dita. Uno di questi esemplari, Delarue, vessa il villaggio presso cui Jon vive col fratello Peter, imponendo un tributo sempre più esoso. Le vicende del buon Jon e del perfido Delarue si congiungono a seguito di una sconvolgente tragedia, che li porterà a ritrovarsi l'un contro l'altro armati.

A incarnare l'uomo qualsiasi trascinato - suo malgrado - nel gorgo della violenza, c'è un Mads Mikkelsen in forma smagliante, che dipinge con tratti minuziosi un ennesimo ritratto umano difficile da dimenticare. Senza mai indulgere a facili esasperazioni drammatiche - e la trama non è certo priva di spunti in tal senso -, Mikkelsen costruisce il personaggio di Jon su un lavoro di micromimica che ne conferma la statura di fuoriclasse. È un "estraneo" dal primo all'ultimo minuto di film, estraneo a quell'America che, per necessità più che per ambizione, ha eletto a patria d'adozione, e che gli si ritorce contro nel modo più bieco e ripugnante.

Jeffrey Dean Morgan è la perfetta incarnazione di quest'America irriconoscente nei confronti di chi vi ha riposto ogni speranza: è il villain spietato che pretende senza dar nulla in cambio, ostile in ogni manifestazione, sleale e meticoloso nella diffusione di un terrore sempre più temuto, sia esso rivolto ai paesani vessati o alla splendida cognata muta, Madelaine (ottima prova, ancora una volta, della fulgida Eva Green, che usa dalla A alla Z tutto il vocabolario degli occhi).

Ed eccola, la mimetizzata riflessione di The Salvation: dietro la facciata dell'omaggio al western e, di conseguenza, all'intera America dei cowboy giustizieri, si scorge l'occhio europeo, lo sguardo critico di chi sa su quanto sangue sia stata costruita la nazione più potente del mondo. Non è un caso che Jon, al contrario di tanti eroi di frontiera di wayniana memoria, non accetti l'etichetta di salvatore - non fatevi ingannare dal titolo! - e non si appropri mai di battaglie non sue. Egli lavora e combatte per sé stesso e per la propria famiglia (vale la pena ricordare l'eccellente prova di Mikael Persbrandt nel ruolo del leale fratello Peter). L'eroismo di Jon è casuale, forzato, individuale e, per questo, profondamente moderno.

Coraggioso pur mantenendosi lontano da sterili polemiche, The Salvation conquista così un pubblico trasversale, che include senza dubbio gli amanti del western classico, confortati dalla messinscena in linea con la tradizione ma non priva di guizzi (basterebbero i contrastatissimi effetto notte o i titoli di testa sfocati a catturare l'attenzione degli spettatori più vigili). Ai nostalgici si accostano però anche gli appassionati di un certo cinema europeo indipendente, che negli ultimi anni ha trovato nella Danimarca uno dei poli più attivi. È quel punto di vista a dare a The Salvation la marcia in più che lo stacca di netto dalla tradizione tematica del western, consentendogli di mantenere una coerenza formale col genere ma innalzandolo, allo stesso tempo, molto al di sopra di esso. Perché, a volte, ci vuole coraggio anche a mediare.

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