Londra 2014 - The Drop, la recensione
Grazie a solide interpretazioni e una regia ricca di idee, The Drop di Michaël R. Roskam - presentato al Festival di Londra - centra il bersaglio
Lo stile asciutto di Roksam si riflette nell' interpretazione di Tom Hardy, a tratti goffo e sperduto come il cucciolo di pitbull che salva da un cassonetto, a tratti freddo e inquietante come la pioggia e le nubi che adombrano Brooklyn senza soluzione di continuità nel corso del film. Il talento di Hardy non ha, da un bel pezzo, più bisogno di conferme; ma fa piacere ammirare l'ennesima tessera di un mosaico interpretativo che, anche in prodotti non sempre eccellenti, vanta una varietà eccezionale e un'immutata efficacia. A smentire il noto detto "ciò che si guadagna in estensione si perde in profondità".
Erede ideale dell'acclamata lezione impartita da Nicolas Winding Refn con Drive, The Drop sfrutta i cliché del thriller come paletti entro i quali muoversi con assoluta libertà, riuscendo in tal modo a schivarne le insidie più facili. Se si dovesse rimproverare qualcosa al film di Roksam, si potrebbe puntare il dito contro una visione dei "veri" cattivi figlia di mille altre rappresentazioni già viste. Ma è un peccato minore, che incide in misura impercettibile sulla complessiva riuscita del prodotto finale; forse il difetto balza all'occhio proprio in virtù della sensibile stratificazione psicologica dei personaggi principali, a partire da Bob. Il protagonista di Roksam non è un eroe, ma neppure un antieroe; cammina sul filo del rasoio, danza sul confine tra le possibili definizioni, sfuggendo alle etichette e fungendo da traino per l'attenzione emotiva del pubblico.