Londra 2014 - I Nostri Ragazzi, la recensione

Con I Nostri Ragazzi, De Matteo scava negli anfratti più oscuri della psiche umana, mostrandone le contraddizioni e l'insospettabile ferocia

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Nel 2012, il pubblico italiano ricevette una bella sorpresa con Gli Equilibristi, che con tocco lieve trattava la tragedia della crisi economica e del precariato nelle sue ripercussioni più angosciose e tristemente attuali. A distanza di due anni, fa piacere constatare che le premesse artistiche in esso contenute sono state ampiamente confermate dal nuovo lavoro del regista Ivano De Matteo, I Nostri Ragazzi, accolto con calore alla recente Mostra del Cinema di Venezia e presentato pochi giorni fa al pubblico inglese del London Film Festival.

Tratto dal bestseller dell'olandese Herman Koch e trasposto a Roma, I Nostri Ragazzi mostra la quotidianità di quella borghesia che vive in case ampie e dispersive, nei quartieri bene della capitale, frequentando ristoranti raffinati in cui ogni stramberia ha l’alibi della ricercatezza. Perfetto prototipo della sua classe sociale è, o almeno sembra essere, l’avvocato Massimo, sposato con la bella Sophia e padre dell’adolescente Benedetta. Suo fratello, Paolo, è un pediatra dolce e affabile, padre dell’introverso Michele e sposato con l’affettuosa Clara. Le due coppie sono solite cenare insieme almeno una volta al mese, sempre nello stesso locale, con buona pace di Clara, che mal sopporta la compagnia dei ricchi cognati.

Quando la tragedia irrompe in un ambiente così schiavo delle proprie abitudini, deflagra con una potenza inaudita, scardinando i rapporti e portando a galla rancori e conflitti mai realmente risolti. Conflitti affidati alle superbe interpretazioni di un quartetto d'attori perfettamente armonici nella loro diversità: Alessandro Gassman crea un'affascinante miscela di sobrietà, cinismo e affetti soffocati; Luigi Lo Cascio ne è antitesi perfetta, grazie alla sua pacata dolcezza solcata di inquietudini sempre più insopprimibili; una Giovanna Mezzogiorno che sembra aver beneficiato in tutto della lontananza dagli schermi incarna - a una prima occhiata - la moglie e madre modello; infine, merita un elogio a parte Barbora Bobulova, in quello che è forse il personaggio più misterioso e contenuto del quartetto, in grado di rivelare a poco a poco un'insospettata empatia.

I Nostri Ragazzi trascende i confini – e i cliché – tanto cari al nostro cinema, dissociandosi dal ritrarre una Roma da cartolina e universalizzando la tragedia dei protagonisti, facendola assurgere a parabola amorale. Non c’è nessuna consolatoria lezione di vita a terminare il film, solo la fioritura completa del germe dell’incertezza sapientemente seminato da De Matteo e dalla sceneggiatrice, Valentina Ferlan, durante il susseguirsi degli eventi.

Lo spettatore cerca invano un appiglio, una qualsiasi ancora di salvezza che lo salvi dal tragico relativismo interno alla storia; il giudizio – o meglio, il pregiudizio – sui personaggi è materia in continua mutazione, argilla che De Matteo sa manipolare a suo piacimento per far scomparire ogni certezza. Perché, in fondo, il messaggio più inquietante che sembra lanciare I Nostri Ragazzi non riguarda il non conoscere gli altri, ma il non conoscere noi stessi, una volta spogliatici dei rassicuranti schemi nei quali ci piace incasellarci.

Deposta la maschera sociale, né Massimo né Paolo sono come ce li aspetteremmo: soprattutto, sembrano sconfessare loro stessi, agendo in contrapposizione rispetto a ciò che un copione leggermente più banale avrebbe previsto. È questa la forza interna, innegabile del film di De Matteo, che sbatte in faccia allo spettatore le amare contraddizioni dell’essere umano in un momento di crisi, scoprendone il lato più oscuro e insospettabile. Un messaggio come questo non ha bandiera, e la speranza è che I Nostri Ragazzi possa essere visto e apprezzato anche all’estero, per restituire al nostro cinema un respiro che, più che internazionale, merita in questo caso l’appellativo di universale.

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