London Film Festival - Beautiful Boy, la recensione
Presentato al London Film Festival, Beautiful Boy di Felix Van Groeningen convince con sincerità senza però mai spiccare davvero il volo
La storia - vera - è semplice: il giornalista David, interpretato da Carell, deve fare i conti con la dipendenza da droghe del figlio Nic, studente modello che ha il volto di Chalamet. Pur non riservando al pubblico alcun colpo di scena, Beautiful Boy riesce a salvarsi dal rischio di precipitare nella mielosità predicatrice da pubblicità progresso, consentendo allo spettatore di simpatizzare sia con David che con l'instabile Nic. Viene quasi spontaneo chiedersi se, di fronte a un ragazzo meno intelligente, meno avvenente, meno educato, avremmo provato lo stesso grado di empatia; dubbio fine a se stesso, poiché questi, solo questi, nient'altro che questi sono gli eroi tragici di cui il film ci parla.
Registicamente parlando, l'estetica di Beautiful Boy alterna il lirismo degli assolati paesaggi californiani in cui David e Nic vivono i loro giorni migliori al sudicio, raggelante squallore degli ambienti in cui il ragazzo si muove nella sua odissea tossica. Ad acuire il contrasto c'è l'azzeccata scelta di casting di Chalamet che, a prescindere dalla sua ormai indiscutibile caratura d'attore, conserva in volto la purezza dei lineamenti infantili, incorniciati da riccioli cesellati che gli conferiscono l'iconico fascino di un angelo caduto.
Proprio a questo si deve il senso di ristagno interno al film, che pare talvolta avvilupparsi in una matassa che, a ogni giro, è uguale a se stessa: le ricadute di Nic, i tentativi da parte di David di capire quel figlio adoratissimo che non riconosce più, tutto sembra percorrere con straziante ripetitività un solco sempre più profondo, da cui è impossibile riemergere. Sta qui l'originalità di Beautiful Boy che, seppur non assurgendo mai al rango di capolavoro, colpisce al cuore lo spettatore mostrandogli come l'amore, a volte, non sia la chiave della salvezza; peggio ancora, suggerisce che non esista una definitiva risposta al dolore, lasciandoci sull'orlo dell'abisso senza il conforto della catarsi.
Un buon film, dunque, che non tenta mai davvero di spiccare il volo verso cieli più alti rispetto a quelli in cui ha scelto prudentemente di muoversi; tutto ciò che lo spinge verso vertici insperati risiede al di fuori della sceneggiatura e porta la firma di Carell e Chalamet, ma la sua misurata sensibilità nel ritrarre i due protagonisti garantisce all'opera una commovente sincerità e, di conseguenza, una solida ed efficace verosimiglianza. Non brillerà per innovazione, ma graffia dolente negli stessi punti in cui molti film sul medesimo argomento si sono finora limitati ad accarezzare.