L'ombra delle spie, la recensione | Roma 15

Giocato sulla piccola storia di un uomo normale in un contesto eccezionale, L'ombra delle spie trova in Benedict Cumberbatch l'arma vincente

Critico e giornalista cinematografico


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All’interno di questa confezione così grossolana e convenzionale, fatta della classica fotografia da cinema di spionaggio anni ‘50-’60 ovvero virata sui colori caldi e scuri a saturazione alta e contrasto alto (che non è la stessa dei film di spionaggio nell’Est Europa negli ‘70, come ben sappiamo quella pretende una color correction sul grigio/blu), del classico trucco, del classico parrucco e delle classiche musiche del genere, si nasconde una storia condotta con molto più polso di quanto non ci si possa aspettare inizialmente.

È la vera storia di Ironbark una delle più importanti spie britanniche in terra sovietica, la persona che negli anni ‘50 aiutò il blocco occidentale a raccogliere informazioni sulla ricerca nucleare della Russia che aiutarono a risolvere la tensione nella Baia dei porci. All’interno di questa grande storia il dettaglio prettamente filmico che L’ombra delle spie riesce a cogliere e colpire con precisione è il fatto che per essere certi di riuscire a trafugare le informazioni necessarie dalla Russia senza destare sospetti si scelse di usare un vero commerciante, un uomo che non aveva nessun addestramento da spia ma davvero da anni commerciava con i paesi del blocco sovietico e dunque era al di sopra dei sospetti.
Quella quest’uomo che cerca di rimanere vivo in un mondo che capisce poco e cerca di fare qualcosa per la quale non è addestrato è la storia dentro la storia che compie il miracolo di dare a L'ombra delle spie al tempo stesso l’aura migliore del vero spionaggio e quella della tensione hitchcockiana.

Questo feeling da uomo ordinario in situazioni straordinarie è l’espediente molto semplice ma indubbiamente efficace che conduce il film. A differenza dell’altra storia di spionaggio durante la guerra fredda che il titolo italiano intende chiamare in ballo, ovvero Il ponte delle spie (che in generale è un film con molta più grazia, delicatezza e maestria), questo non ha un eroe abile sebbene fuori posto al centro di event mondiali, ma qualcuno di inabile agli intrighi che non fa che correre rischi incredibili terrorizzato dall’idea di un conflitto nucleare che spazzi via la sua famiglia. E Benedict Cumberbatch nonostante non lavori su registri clamorosi e non si metta eccessivamente in primo piano centra davvero quella sensazione, puntando sul regionale, puntando su movimenti, tic e smorfie stereotipicamente britanniche, che ci parlano di una persona ben poco cosmopolita e molto radicata nel suo orticello.

Certo poi Dominic Cooke (che viene da una vita nell’opera e aveva già diretto il film romantico e non male Chesil Beach - Il segreto di una notte) non fa un gran servizio ai personaggi russi. Tutti quelli che non sono il deuteragonista vengono ridotti al minimo comun denominatore e rappresentati come uomini sempre arrabbiati. Se gli occidentali sono disegnati con cura, quelli hanno i tratti evidenti ed espressionisti dei fumetti, le linee nette ed inequivocabili che non lasciano spazio alla complessità. Un film tutto su di loro sarebbe stata una tragedia. Ma per fortuna sono ruoli minori.

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