Logan - The Wolverine, la recensione del film
Abbiamo visto in anteprima Logan, il film di James Mangold che chiude la saga cinematografica di Wolverine
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
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Lo sappiamo da sempre, dalla sua caccia alla verità, alle proprie origini. Ma questa volta è un altro passato a tormentare Wolverine, più recente e ancora più doloroso. Non ci sono più gli X-Men, non ci sono più i mutanti, non c'è più nessuno da proteggere. Forse, qui e là, c'è qualche esemplare. Apparentemente, c'è una nuova razza di homo superior in giro, qualcosa di simile ai mutanti di un tempo. Ma nulla di tutto questo riguarda Logan, che ha ben altro di cui preoccuparsi. Zoppica, è debole, è malato. Il suo fattore rigenerante non è quello di un tempo. Soprattutto, ha una e una sola responsabilità a cui pensare, che riguarda Charles. Xavier, l'unica figura paterna che abbia mai avuto, è più vecchio di lui, più malato di lui, e i suoi poteri sono ancora più fuori controllo. Ricercato da una polizia brutale e senza scrupoli, Charles è debole e solo. Tocca a Logan proteggerlo e tenerlo faticosamente al sicuro, impedendogli contemporaneamente di far danno agli innocenti, nel suo stato confuso e incontrollabile.
Il film è potente, violento senza chiedere mai scusa. Da questo punto di vista, è il fratello maggiore, più cinico e arrabbiato, di Deadpool, che risulta sorpassato dalla brutalità della pellicola di James Mangold. Asciuttissimo, mette in scena un'azione tosta e frenetica, assolutamente terra terra e quasi sempre realistica. Le sensazioni che il secondo trailer regalava, con un po' di amaro in bocca, sono del tutto smentite. Qui non si scherza, non c'è granché spazio per i fronzoli, la violenza fa male e colpisce duro. Anche con momenti mediamente disturbanti, visto che c'è spesso una bambina, al centro dell'azione. E senza esclusione di colpi.
Una sceneggiatura lineare, asciutta esattamente come le ambientazioni aride e brulle che accompagnano visivamente gli eventi, ci conduce passo passo verso la meta. Logan è un road movie incentrato sul trio dei suoi personaggi: Charles, Laura e Wolverine, che attraversano gli Stati Uniti diretti a Nord, come una sorta di disfunzionale famiglia su tre generazioni. E proprio la famiglia è uno dei temi portanti del film, come del resto capita spessissimo nelle storie degli X-Men. C'è una famiglia perduta tragicamente e rimpianta, c'è una famiglia mai esistita la cui assenza si fa sentire prepotente, ce n'è una che potrebbe nascere se le cicatrici sapessero ancora guarire e, infine, ce n'è anche una che fa da modello, che sembra poter indicare la via ai protagonisti.
Ma ancor più importante è il tema del dolore. Tutti soffrono in Logan e la sofferenza ha sempre radici profonde, evidenti e visibili. Bravissimo Jackman a rappresentare un Wolverine preda del male fisico, interiore e psicologico assieme, un ritratto sbiadito di se stesso, un uomo piegato ma ancora memore della propria forza, un eroe riluttante e ferito. Così come è commovente l'interpretazione di Patrick Stewart, anche lui perfetto nel regalarci un Professor X che mostra tutti i segni dell'età. E poi c'è Laura, la giovane Dafne Keen, che fa tutto quel che serve per conquistarci. C'è spazio persino per l'umorismo, spesso affidato a uno Xavier che fa tenerezza, perfetto contraltare di un Wolverine spaventato e rabbioso, granitico nella sua ostinazione, che ci fa bruciare ancora di più le ferite lasciateci dal film, senza retorica, senza alleggerimento della tensione.
Quanto è Vecchio Logan. Proprio come in un fumetto di Mark Millar e Steve McNiven, che si fa sentire nella definizione conclusiva di questo personaggio, la cui epica finisce, in qualche modo, senza mitizzazione, con un film che lo trascina nella polvere per renderlo finalmente grande anche sullo schermo. Ci fa molto piacere che sia un Logan anziano, dopo tanti anni di cinecomic e in una fase in cui il genere è da più parti accusato di stanchezza, a brillare, finalmente. E a farlo in maniera, asciutta, onesta, senza bisogno di chiedere scusa. Proprio come meritava.