Locked Down, la recensione

Locked Down di Doug Liman riesce a raccontare una divertente storia di crisi coniugale

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È sorprendente come a volte le limitazioni riescano a tirare fuori dalle persone le qualità più impensabili, sia in negativo che in positivo. Ma è ancora più sorprendente come Locked Down di Doug Liman, uno dei primi film scritti e girati durante la pandemia di Covid-19, riesca non solo a trasmettere in modo cristallino, divertente e originale quest’idea attraverso una divertente storia di crisi coniugale, ma anche come esso stesso sia un esempio concreto di come i film possano sfruttare in modo virtuoso e creativo il distanziamento e la necessità di restringere i propri spazi.

Il merito è in gran parte della penna di Steven Kinght, la cui scrittura fa da padrona a un film quasi completamente girato in interni, ma che dalle premesse fuorvianti di un quotidiano stress da pandemia, potenzialmente noioso, retorico o ripetitivo, tira fuori dal cilindro, come un mago, un twist d’azione che fa prendere al film strade inaspettate. Inizia infatti come Malcolm & Marie e si evolve come un film di Steven Soderbergh la storia di Linda (Anne Hathaway) e Paxton (Chiwetel Ejiofor), una coppia in crisi costretta dalle circostanze della pandemia a prolungare la convivenza nel suo appartamento londinese. Lei è la CEO di un’azienda di moda di lusso, ma la pandemia le ha fatto sorgere dubbi sulle implicazioni morali e capitalistiche del suo lavoro; lui invece, avendo dei precedenti penali, non trova un impiego, ma proprio a causa della scarsità di risorse dovute al covid viene assunto come corriere sotto falso nome per trasportare beni di lusso. Vicini fisicamente ma distanti a livello emotivo, grazie a un’occasione del destino i due avranno l’occasione di ripensare le loro vite.

L’aspetto più esaltante di Locked Down è proprio il modo in cui racconta e poi sfrutta creativamente le particolari situazioni create dalle prime settimane di lockdown: sì, i dettagli e i simboli di quel periodo ormai così fortemente connotato ci sono tutti, dalle chiamate zoom (fatte rigorosamente con indosso i pantaloni del pigiama) alle file distanziate al supermercato, passando per i flash mob fatti affacciandosi dalle finestre all’improvvisa voglia di fare il pane in casa. Ma i dettagli non fanno la storia, sono solo una cornice, così come è una cornice la pandemia, data per scontata dall’inizio del film e la cui realtà drammatica non viene mai accennata se non dal telegiornale che a volte riempie il silenzio.

Quello che invece rende vincente Locked Down è l’aver sfruttato quelle piccole anomalie del sistema che caratterizzavano il primo periodo della pandemia per costruire una storia che vada oltre i muri di casa, che non parli degli effetti del lockdown nello stare in casa ma che, al contrario, usa gli effetti del lockdown per trovare nuovi modi di agire nel mondo “fuori”. Ecco allora che il distanziamento implica diversi sitemi di sicurezza e quindi, banalmente, diverse possibilità di azione, diverse svolte narrative. La brillantezza della scrittura di Steven Knight è in questo senso evidente, non solo per la situazione che è riuscito a creare ma anche per i dialoghi, un suo tratto distintivo, che qui mescolano l’ironia alla profondità del non detto, toccando picchi di incredibile lucidità (un monologo della Hathaway in particolare).

Locked Down è un film sostanzialmente di sceneggiatura: la regia di Doug Liman si limita ad esaltarla, rendendole servizio senza dichiarare la sua presenza. Allo stesso modo, ogni reparto creativo e tecnico sembra essere stato accuratamente vagliato da Knight e da Liman (che infatti sono i produttori esecutivi). L’impressione è quella di una grande cura per i particolari, di una sincera voglia di creare un mondo realistico, capace di comunicare tramite le piccole cose (i diversi pigiami della Hathaway, il lavandino pieno di stoviglie, l’uomo al supermercato che compra un quantitativo esagerato di carta igienica) senza cadere nella macchietta, nella palese esposizione di un significato metaforico. Il merito però è anche quello di Anne Hathaway e Chiwetel Ejiofor, che insieme emanano un’alchimia da duo comico e una strana tensione, capace di comunicare quel non detto, tra amore e odio, che sta tra le battute di Knight.

Cosa ne dite della nostra recensione di Locked Down? Scrivetelo nei commenti dopo aver visto il film!

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