Locke & Key (seconda stagione): la recensione

La stagione 2 di Locke & Key conferma i difetti della prima, e si conferma molto indecisa sul tono che vorrebbe intraprendere

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Locke & Key 2: la recensione

Locke & Key si ferma sempre un passo prima della soglia di quel che vorrebbe raggiungere, qualunque cosa esso sia. Anche nella seconda stagione, la serie tv tratta dal fumetto di Joe Hill si conferma indecisa sullo stile da intraprendere, sul tono da adottare. In poche parole, sui riferimenti che vuole avere. Perché sarebbe anche corretto scegliere di voler seguire la strada dell'epigono di Stranger Things, e quindi di tutto quell'immaginario anni '80 che ben conosciamo. Ma non è esattamente questo ciò che avviene nella serie. A soffrirne sarà soprattutto il coinvolgimento, considerato che in questi dieci episodi – che comunque non saranno gli ultimi per lo show – l'intreccio e le caratterizzazioni si mantengono troppo vaghe, così come la mitologia interna.

La storia continua a raccontare le vicende della famiglia Locke che si è trasferita a Keyhouse e qui ha scoperto tutte le varie chiavi magiche che permettono di accedere a situazioni straordinarie. Sulla loro strada si era trovato un demone, Dodge (Laysla De Oliveira), che però i tre fratelli erano apparentemente riusciti a sconfiggere. In realtà così con è, dato che il demone è tornato, seppure in una forma diversa, e stavolta ha scoperto un modo più pericoloso per insidiare i Locke. Seguiremo la loro storia, insieme alle loro più o meno personali vicende scolastiche e alle amicizie che Tyler, Kinsey e Bode (Connor Jessup, Emilia Jones, Jackson Robert Scott) si faranno.

C'è un momento, durante la seconda stagione, in cui i personaggi si trovano a scappare dentro casa, inseguiti da una specie di ragno mostruoso, e solo l'intervento di una mano gigante dall'alto riuscirà a salvarli. Il tutto mentre i fratelli devono rimediare al caos per evitare che la madre Nina (Darby Stanchfield) scopra tutto. Questo momento, insieme ad altri, come una proiezione iniziale che mostra un film amatoriale horror girato con pochi mezzi, ma tanta passione, dovrebbe instradarci sul tipo di serie che Locke & Key vorrebbe essere. Una specie di simil-Jumanji, per adolescenti, leggera, tra horror e meraviglia, da non prendere troppo sul serio, ma alla quale abbandonarsi. E le chiavi magiche, ognuna con la sua particolarità, dovrebbero fare il resto. Si sarà intuito che la serie non è esattamente questo.

In poche parole, non è mai così godibile come potrebbe essere. Tutto in questo mondo è trattato con una grande pesantezza di fondo, tra momenti melodrammatici, scene madri, svolte tragiche, flashback superflui. Locke & Key non ha mai la capacità di divertirsi davvero con la sua premessa, e tutto è appiattito su una esecuzione che si accontenta di non sbagliare troppo, ma anche di non offrire troppo. Non aiuta la caratterizzazione dei personaggi, troppo vaga, e un cattivo in questa seconda stagione che non ha il phisique du role, mettiamola così, per suscitare sincera inquietudine.

Ma a mancare davvero è l'elemento visivo, il collegamento decisivo tra lo spettatore e l'oggetto principale della serie. Queste straordinarie, importantissime chiavi che tutto possono e che tutti vorrebbero, non sono mai quell'oggetto meraviglioso o spaventoso o proibito che dovrebbero essere. E la sensazione è che, mancando questo punto, tutto il resto segua di conseguenza.

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