Locke & Key (seconda stagione): la recensione
La stagione 2 di Locke & Key conferma i difetti della prima, e si conferma molto indecisa sul tono che vorrebbe intraprendere
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Locke & Key si ferma sempre un passo prima della soglia di quel che vorrebbe raggiungere, qualunque cosa esso sia. Anche nella seconda stagione, la serie tv tratta dal fumetto di Joe Hill si conferma indecisa sullo stile da intraprendere, sul tono da adottare. In poche parole, sui riferimenti che vuole avere. Perché sarebbe anche corretto scegliere di voler seguire la strada dell'epigono di Stranger Things, e quindi di tutto quell'immaginario anni '80 che ben conosciamo. Ma non è esattamente questo ciò che avviene nella serie. A soffrirne sarà soprattutto il coinvolgimento, considerato che in questi dieci episodi – che comunque non saranno gli ultimi per lo show – l'intreccio e le caratterizzazioni si mantengono troppo vaghe, così come la mitologia interna.
C'è un momento, durante la seconda stagione, in cui i personaggi si trovano a scappare dentro casa, inseguiti da una specie di ragno mostruoso, e solo l'intervento di una mano gigante dall'alto riuscirà a salvarli. Il tutto mentre i fratelli devono rimediare al caos per evitare che la madre Nina (Darby Stanchfield) scopra tutto. Questo momento, insieme ad altri, come una proiezione iniziale che mostra un film amatoriale horror girato con pochi mezzi, ma tanta passione, dovrebbe instradarci sul tipo di serie che Locke & Key vorrebbe essere. Una specie di simil-Jumanji, per adolescenti, leggera, tra horror e meraviglia, da non prendere troppo sul serio, ma alla quale abbandonarsi. E le chiavi magiche, ognuna con la sua particolarità, dovrebbero fare il resto. Si sarà intuito che la serie non è esattamente questo.
Ma a mancare davvero è l'elemento visivo, il collegamento decisivo tra lo spettatore e l'oggetto principale della serie. Queste straordinarie, importantissime chiavi che tutto possono e che tutti vorrebbero, non sono mai quell'oggetto meraviglioso o spaventoso o proibito che dovrebbero essere. E la sensazione è che, mancando questo punto, tutto il resto segua di conseguenza.