Lo squalificato, la recensione
Abbiamo recensito per voi Lo squalificato, adattamento manga di Junji Ito del capolavoro di Osamu Dazai
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Ningen Shikkaku (1948), noto in Italia con il titolo Lo squalificato, è il romanzo più famoso di Osamu Dazai (19 giugno 1909 – 13 giugno 1948) ed è considerato unanimemente un caposaldo della Letteratura giapponese. Non stupisce che l'opera abbia avuto in patria innumerevoli trasposizioni in altrettante forme espressive, tra cui ovviamente anche il Fumetto. Del 2009, realizzato in occasione del centenario della nascita dello scrittore, è il pregevole adattamento - in tre tankobon editi da Shinchosha - da parte del maestro Usamaru Furuya e proposto in Italia da Planet Manga.
Il personaggio di Dazai è autobiografico in molti aspetti del suo carattere e del suo agire, ma Ito lega ancor di più autore e personaggio inserendo lo stesso autore nel manga, in quanto entrambi provengono da una famiglia benestante e sono figli di un padre freddo e intransigente. I due non riescono a cogliere il significato della propria esistenza e la consumano nei vizi più dissoluti, fino all'atto estremo del suicidio. Oba tenta più volte invano di togliersi la vita, cosa che invece riuscirà al suo creatore, che si getterà nel bacino di Tamagawa, a Tokyo, pochi giorni prima di compiere trentanove anni.
Non esiste una collocazione sentimentale e sociale per Oba. La conseguenza naturale, per chi non ha uno scopo, non è una persona ma solo la maschera che indossa, è la follia, come racconta Luigi Pirandello in Uno, nessuno e centomila. Dazai dà alla teoria della "Crisi dell'io" del geniale letterato siciliano un'inclinazione squisitamente decadente e con accenti nichilisti.
La materia prima a disposizione di Junji Ito è di valore inestimabile, ma occorrono una sensibilità e un estro estetico speciali per poterla tramutare in una sceneggiatura degna di tale spessore e in immagini capaci di restituire tutta la sua straziante suggestione. Il maestro dell'horror nipponico ci riesce pienamente, realizzando un racconto atipico per il genere da lui prediletto, ma i cui meccanismi e stilemi gli sono certamente stati utili per offrire un eccellente tributo al capolavoro di Dazai e confezionare un manga che si colloca ai vertici assoluti della sua immensa produzione.
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