Lo Hobbit: la Desolazione di Smaug, la recensione
Con un secondo capitolo più breve, cupo e ricco di azione, Peter Jackson dimostra che il suo Lo Hobbit non è una storia per ragazzi, ma un vero preludio al Signore degli Anelli...
Quando un anno e mezzo fa Peter Jackson annunciò di aver trasformato il suo adattamento in due parti dello Hobbit in una trilogia, in molti si chiesero come avrebbe fatto a spalmare su tre pellicole una storia che riempie un libro di meno di poche centinaia di pagine. Dalla sua, il regista e co-sceneggiatore (assieme a Fran Walsh, Philippa Boyens e Guillermo del Toro) aveva la possibilità di espandere la storia con alcuni episodi presenti nelle appendici del Signore degli Anelli collegandola meglio alla Trilogia.
Dove invece la Desolazione di Smaug si discosta maggiormente dai precedenti film della saga Jacksoniana è nel finale a cliffhanger, una soluzione inevitabile, molto attuale (basti pensare a La Ragazza di Fuoco e in generale a come il cinema blockbuster si stia avvicinando alla serialità televisiva) eppure per nulla inedita (L'Impero Colpisce Ancora). Al contrario del primo film, poi, questo secondo episodio è molto più improntato all'azione e - complice una durata inferiore - risulta molto più scorrevole e privo di tempi morti. E' una vera e propria corsa verso Erebor quella che compie la Compagnia, tanto che nel primo atto ne fanno le spese sia Beorn che i Ragni (avranno senza dubbio più spazio nell'Edizione Estesa): Jackson sceglie sapientemente di soffermarsi sugli aspetti che servono a mettere in piedi il grande conflitto che caratterizzerà il terzo film, e in particolare sulle origini di uno dei cinque eserciti. Nella seconda parte, invece, va in scena lo spettacolo vero e proprio: Smaug.
E se in Un Viaggio Inaspettato le interazioni tra Bilbo e Gollum erano forse l'elemento più riuscito, qui sono i dialoghi tra lo Hobbit e il Drago ad affascinare maggiormente, merito anche di Martin Freeman, che in questo episodio ancora una volta dimostra di essere stata la scelta migliore che la produzione potesse fare in termini di casting. La sua interpretazione, pur affiancata da quelle di Richard Armitage (un Thorin molto più oscuro e combattuto) e Ian McKellen, è sempre più densa, ricca di umorismo da un lato e di tensione dall'altro: Bilbo utilizza l'Anello, ma subisce anche i primi nefasti effetti del suo potere, un potere che risvegliandosi non inizia a consumare solo lo hobbit, ma tutta la Terra di Mezzo.
Ed è alle ambientazioni che Jackson affida il compito di dare un tono più cupo a questo secondo film: dal claustrofobico Bosco Atro all'altrettanto poco invitante Reame Boscoso, passando per i nebbiosi canali di Pontelagolungo fino ad arrivare alle vaste e labirintiche cavità di Erebor occupate dal Drago, La Desolazione di Smaug ci presenta un lato inedito della Terra di Mezzo, descritto con la consueta ricchezza di dettagli da spettacolari scenografie e da un 3D ancora una volta immersivo (cercherete di allontanare le enormi api della casa di Beorn). E proprio questi due aspetti sintetizzano al meglio il film: una grande avventura che diverte e intrattiene, e nel contempo lascia presagire un respiro molto più ampio.
Nota: la proiezione per la stampa alla premiére europea di Berlino non è stata effettuata in HFR 3D, formato con il quale è stato concepito il film: recupereremo al più presto e vi proporremo una videorecensione.