Living: la recensione

L'ottima interpretazione di Bill Nighy sostiene Living, un remake interessante ma non all'altezza dell'opera originale

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La recensione di Living, presentato al Festival di Venezia

Il talento di Bill Nighy non riesce del tutto a giustificare la scelta di produrre Living, il remake di Ikiru firmato nel 1952 da Akira Kurosawa proiettato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia dopo la presentazione in anteprima mondiale avvenuta al Sundance. Nel confronto con l'opera originale, il film diretto da Oliver Hermanus (Moffie) risulta infatti, senza troppi dubbi, al di sotto delle aspettative e poco brillante, riuscendo forse a convincere maggiormente chi si avvicina per la prima volta alla storia, la cui ambientazione è stata modificata a livello geografico passando da Tokyo a Londra.

La trama di Living

Living, che può contare su una sceneggiatura firmata da Kazuo Ishiguro, riporta così sugli schermi la storia di Mr. Williams (Bill Nighy), per decenni impiegato in un ufficio comunale e che trascorre le sue giornate senza alcuna apparente emozione. L'uomo viene persino soprannominato Mr. Zombie dai colleghi e fuori dagli orari di lavoro è impegnato tendenzialmente a conversare con suo figlio (Barney Fishwick) e la cognata (Patsy Ferran), che non provano per lui particolare affetto. Tutto cambia quando il suo dottore gli rivela che ha solo sei mesi di vita, annuncio che porta Williams a valutare con attenzione cosa fare prima della fine della sua esistenza, decidendo di vivere delle esperienze che non si era mai concesso con l'aiuto di uno sconosciuto e una giovane collega, ruoli affidati a Tom Burke e Aimee Lou Wood.

Un film sostenuto dal suo protagonista

Bill Nighy si immerge nel suo ruolo con grande facilità e convinzione, passando in modo naturale e credibile dall'essere il guscio vuoto di se stesso a dare sostanza alla propria personalità e ai sogni che vorrebbe realizzare. L'attore riesce a dare sfumature persino all'apparente ripetività e noia che caratterizzano inizialmente la vita del protagonista, aggiungendo progressivamente nuovi strati in grado di dargli personalità e far emergere i lati nascosti di un uomo che passa quasi invisibile nei corridoi del suo ufficio, e della sua stessa vita.

Il modo in cu Nighy dà vita alla parte, persino nelle scene più drammatiche in cui rivela la sua diagnosi, tratteggia un film che avrebbe avuto bisogno di personaggi secondari maggiormente delineati con cura, lasciando un po' in sospeso presenze promettenti come quelle di Aimee Lou Wood, molto efficace nel ruolo che le è stato affidato, e Tom Burke.

Living, complice anche una sceneggiatura in parte volutamente sottotono per adeguarsi alla storia portata sugli schermi, risulta un progetto sicuramente animato dalle (buone) intenzioni, ma sa lasciare il segno a livello emotivo solo in alcune sequenze, ripiegandosi tuttavia più volte sulla natura priva di guizzi del suo personaggio principale. Ishiguro e Hermanus hanno puntato molto sulla tematica del valore delle piccole cose e il messaggio viene condiviso con lo spettatore in modo efficace con alcune scene costruite in modo intelligente per avere l'effetto sperato, come i momenti che coinvolgono Miss Harris, ma senza un'originalità che avrebbe forse giustificato la realizzazione del progetto, poco valorizzato anche da una colonna sonora sotto tono.

Un remake interessante, ma non privo di difetti

Living sa spingere gli spettatori a compiere un bilancio della propria vita grazie alla performance di Nighy, davvero in grado di dare spessore al suo personaggio e di far riflettere su ciò che potremmo lasciare in eredità a chi ci conosce con le azioni quotidiane che compiamo ogni giorno e sulla possibilità di aver sprecato la propria esistenza in attesa di un rispetto e affetto che non sembra essere destinato a essere ricambiato mentre si svolge una lotta contro il tempo per provare a vivere realmente prima della propria morte. La contrapposizione tra l'anziano impiegato e il nuovo arrivato Peter Wakeling, interpretato da Alex Sharp, è particolarmente efficace a livello della costruzione narrativa, che non sa mantenere del tutto l'attenzione dopo la svolta che porta a dare maggiore attenzione alla famiglia del Signor Williams.
Il regista può inoltre contare sul buon lavoro compiuto alla fotografia da Jamie Ramsay, in grado di enfatizzare il grigiore della vita del protagonista a livello cromatico nella rappresentazione di una Londra un po' sospesa tra tradizione e voglia di cambiamento, ma dispiace che il montaggio firmato da Chris Wyatt e la costruzione a livello narrativo non valorizzino adeguatamente la freschezza e l'espressività di Aimee Lou Wood, uno dei volti più apprezzati di Sex Education.
Living, un po' come il Signor Williams, sembra così voler rischiare il meno possibile, confezionando un film dal messaggio significativo che non sa realmente osare e sostenersi del tutto senza il talento di Bill Nighy.

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