Little Voice (prima stagione): la recensione

Little Voice racconta una storia che si muove tra sogno e dramma, e che celebra la musica in ogni istante

Dal 2017 sono Web Content Specialist l'area TV del network BAD. Qui sotto trovi i miei contatti social e tutti i miei contenuti per il sito: articoli, recensioni e speciali.


Condividi
Little Voice (prima stagione): la recensione

C'è una piacevole tenerezza nel racconto di Little Voice. Quella delicatezza che mescola sogno e dramma, e che è tipica delle storie in cui c'è qualcuno che insegue una carriera musicale. La serie di Apple Tv+ si muove allora tra argini ben definiti, seguendo un percorso narrativo che è comunque accogliente per lo spettatore anche nei suoi momenti più drammatici. Probabilmente in certe svolte risulta troppo calcolato, e il rischio di un racconto già visto c'è, ma questo "piccolo" – di nome e di fatto – progetto si riscatta grazie ad alcuni momenti davvero azzeccati, ad un calore umano sincero di fondo, e ad un'ottima protagonista.

La storia di Little Voice è quella di Bess Alice King – un nome fittizio che già sembra adattarsi a quello di una cantante emergente. Lavora come cameriera e dog-sitter, mentre coltiva il sogno di una carriera musicale che, ovviamente, è quasi un miraggio per lei. Le sue giornate trascorrono nella routine di una famiglia difficile, di un lavoro precario, con vaghi slanci di creatività che la portano a scrivere frettolosamente frasi dove capita per poterle poi convertire in versi per le sue canzoni. Piccole occasioni, piccole delusioni, piccoli momenti di meraviglia illuminano la sua vita.

La cantautrice Sara Bareilles ha lavorato attivamente sullo sviluppo della serie tv, partecipando come produttrice, sceneggiatrice e autrice delle canzoni cantate dalla protagonista. Non a caso, Little Voice è anche il titolo di uno dei suoi album (sarebbe comunque sbagliato vedere nella giovane Bess una proiezione della vita di Sara Bareilles). Come Mozart in the Jungle, ma senza quella esuberante leggerezza di fondo, Little Voice respira musica. Nel senso che la controvoce musicata della sceneggiatura è la spina dorsale di una storia che vi si appoggia continuamente, che vi ritorna continuamente.

La musica celebrata in ogni sua sfaccettatura, soprattutto in quelle più umane, sia come liberazione che come rivelazione. La stessa famiglia turbolenta di Bess (Brittany O'Grady fonde dolcezza e determinazione) è definita dalla musica, dal padre musicista con problemi di alcol al fratello, che rientra nello spettro autistico, che ha una fissazione per i musical. Oppure nella casa per anziani dove Bess va a suonare, e dove un motivo familiare può riportare una luce di consapevolezza negli occhi degli ospiti (come avveniva in Coco). Insomma, la tesi di Little Voice, al di là del suo classico racconto della piccola ragazza che cerca di farsi notare nella grande città, risiede nel valore unificante della musica.

Ogni trauma e ogni svolta drammatica (c'è anche una storia di abbandono e una sull'identità sessuale) è applicata forse con metodica precisione nell'intreccio, e il rischio di artificiosità c'è. Eppure Little Voice viaggia su binari leggeri, non sprofonda mai nel dolore retorico, e quando rischia di farlo c'è sempre la musica a risollevarlo.

CORRELATO A LITTLE VOICE (PRIMA STAGIONE): LA RECENSIONE

Continua a leggere su BadTaste