Little Sister, la recensione
Un piccolo film gigantesco. Little sister racconta un anno nella vita di 4 sorelle creando tra lo spettatore e i personaggi una prossimità impressionante
Ci sono tre sorelle tra i 20 e i 30 anni che vivono insieme nella casa di provincia in cui le ha lasciate la madre che ormai non sta più con loro. Hanno dei caratteri che non sono riconducibili a nessuno stereotipo tranne la maggiore, che fa un po’ da madre alle altre due, le quali conseguentemente sono meno in grado di prendersi cura di sè. Il giorno del funerale del padre (anch’egli ormai lontano da anni ma perché risposatosi) conoscono la loro sorellastra, figlia unica del secondo matrimonio, ha 17 anni e la invitano a vivere con loro.
Questa decisione scatena un film che più meno racconta un anno o poco più nella vita di questo nuovo nucleo, con l’obiettivo di rivoltare la situazione iniziale, cioè di mostrare come dietro quelle che sono scelte logiche per ogni personaggio ci sia sempre qualcos’altro.
Il passare del tempo è un’arma fondamentale per Little sister, ciò che serve allo spettatore per entrare in contatto con i personaggi con la necessaria intimità e la delicatezza indispensabile ad abbassare le difese.
Come tutti i film che si prefiggono (e raggiungono) l’obiettivo incredibile di mettere in scena la vita delle persone per come si svolge, senza intrecci particolari o trame appassionanti, anche Little sister è un vero gioiello di ritmo e penetrazione nell’animo umano. Un quadro da ammirare potenzialmente all’infinito che svolge il suo compito senza farlo pesare allo spettatore.