Lingui, la recensione | Cannes 74

Il modello del cinema africano da festival come l'abbiamo concepito negli ultimi 20 anni è tornato e nonostante una storia femminile non cambia molto

Critico e giornalista cinematografico


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Lingui, la recensione | Cannes 74

Mahamat-Saleh Haroun è legatissimo a Cannes e il festival è legatissimo a lui. Una buona parte dei suoi film degli ultimi 10 anni sono stati presentati qui, ed è la terza volta che è in concorso. Tuttavia, anche questa volta dopo Grigris, non ci si può non domandare cosa ci sia nel suo cinema di così accattivante per meritare tanta considerazione.

Lingui è la storia di una ragazza che rimane incinta a 15 anni in un paesino del Chad. Il fatto è un problema non da poco per il suo futuro e pesa nella vita già difficile sua e di sua madre (il padre le ha abbandonate). Se a questo si aggiunge che in Chad abortire non solo è condannato dalla religione (musulmana) ma anche dalla legge dello stato, abbiamo il film. Ci sarà una clinica specializzata, i soldi da trovare per pagarla e poi un raid della polizia quando tutto sembra fatto. Ogni problema è risolto con il Lingui, cioè il “legame” che in questo capiamo essere quello tra donne, perché solo donne si vedono in questo film.

Mahamat-Saleh Haroun per la prima volta fa un film femminile e lo fa tutto femminile. Quella di Lingui è tuttavia una storia che abbiamo sentito molte volte raccontare in Occidente, in diversi film di diversi paesi tutti caratterizzati dalle proprie specificità locali. Nei casi migliori, come 4 mesi 3 settimane 2 giorni di Cristian Mungiu, le difficoltà locali nell’abortire sono il trampolino per qualcosa di più, il mezzo e non il fine, un’occasione per fare cinema e non l’obiettivo stesso del racconto.
Tutto ciò manca in Lingui, film che è la sua trama e che ha il classico stile del cinema da festival africano degli anni 2000 e 2010, cioè un minimalismo che non apre mai alle immagini, che non fa dell’economia una forza ma anzi è la copia del cinema d’autore occidentale.

Sembrava che con Atlantique (visto sempre qui a Cannes) qualcosa stesse cambiando e il cinema africano da festival cominciasse finalmente ad essere africano davvero, e non un sottoprodotto europeo. Lingui ci riporta indietro con le ambizioni, gli esiti e soprattutto la qualità della realizzazione. Povera di idee e (ancora più grave) di immagini, prima ancora che di produzione.

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