L'infermiera, la recensione

Attenendosi a uno stretto rigore in termini di ritmo e scrittura, L'infermiera perde in originalità ciò che guadagna in tensione

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La nostra recensione di L'infermiera, miniserie danese disponibile su Netflix

La sottile linea di demarcazione tra angelo salvatore e tristo mietitore viene indagata nei quattro episodi di L'infermiera, miniserie danese targata Netflix ideata da Kasper Barfoed. Al centro, un inquietante susseguirsi di morti verificatesi all'interno di un ospedale; un caso di cronaca nera, non certo unico nel suo genere, che mette in luce un aspetto celato e relativamente ricorrente nella psiche di chi è deputato a occuparsi dei malati.

La scarica di adrenalina derivante dal salvataggio di una vita è uno dei punti focali di L'infermiera; le mani assassine di Christina sono le stesse che, quasi miracolosamente, riescono a strappare all'Ade i pazienti quando ormai sembra tutto perduto. In questo senso, l'infermiera diviene un vero e proprio angelo della morte, al tempo stesso causa e risoluzione dei destini di chi, inconsapevole, finisce tra le sue grinfie.

Il sorriso del male

L'aspetto più affascinante di L'infermiera risiede, senza ombra di dubbio, nelle molte sfaccettature della mente criminale di Christina. Non siamo dinnanzi a una semplice frustrazione, né a un palese status di psicolabilità. Da qualche battuta che la donna scambia con l'ex marito, intuiamo sintomi riconducibili alla Sindrome di Munchausen (già trattata, per restare in Danimarca, in The Bridge); eppure, la follia lucida dell'infermiera si articola lungo meandri oscuri di cui persino alla fine della stagione ci sfuggirà la mappa completa.

Christina è brava, anzi, bravissima nel suo lavoro; la passionalità che infonde nel rianimare i pazienti in arresto cardiaco è pari a quella della più focosa amante nel proprio talamo. Come se non bastasse, è anche espansiva, simpatica, affascinante; in una dimensione alternativa, sarebbe forse stata a capo dell'intero pronto soccorso, o forse a dirigere un ospedale di ben più chiara fama del Nykøbing Falster. Il che ci induce a una riflessione su ciò che spinga una mente brillante ad animare i propri gesti di una volontà del tutto intesa al male, per dirla con Eco. La risposta non c'è, ma la domanda sollevata da L'infermiera rimane sospesa a mezz'aria, infestando con la sua ambiguità i nostri pensieri.

Rigor mortis

Per chi abbia visto The Good Nurse, la storia di L'infermiera risulterà inquietantemente familiare; a ben guardare, lo svolgimento della serie danese procede secondo tappe che sono intuibili sin dal primo minuto. A dare il via al percorso che porterà alla scoperta degli omicidi, l'arrivo della new girl in town Pernille, trasferitasi assieme alla figlioletta per stare più vicina all'ex compagno. È proprio Pernille, affiancata a Christina come infermiera del turno notturno, a iniziare a nutrire sospetti a cui nessun collega aveva osato dar voce.

Dall'arrivo di Pernille in poi, la storia è praticamente già scritta. Chi stia cercando colpi di scena e rocamboleschi cambi di prospettiva, è bene si tenga alla larga da L'infermiera; al netto di una tensione palpabile data soprattutto dalle ottime performance delle due protagoniste, la miniserie di Barfoed deficia di guizzi creativi e trovate narrative originali. Il risultato finale non è sgradevole, ma ha la piattezza insipida di certi piatti da mensa ospedaliera.

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