Linee parallele, la recensione

Lo Sliding Doors di questi anni, lavora su talento e realizzazione ed è l'ennesima buona commedia romantica di Netflix

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Linee parallele, disponibile su Netflix dal 17 agosto

Palm Springs è Ricomincio da capo per le nuove generazioni, Linee parallele invece è il loro Sliding Doors. Come per Palm Springs difficilmente raggiungerà lo stato di culto del suo originale, e non ha nemmeno la capacità di innovare sulla struttura base di quel film, ma come capita spesso alle commedie sentimentali di Netflix è scritto bene (che è più di quel che si può dire di una parte rilevante del suo catalogo), a patto di accettare i suoi presupposti abbastanza conservatori. La storia che si divide in due infatti non è quella di una donna che scopre o non scopre un tradimento ma quella di una ragazza che rimane o non rimane incinta. In un caso quindi sarà una 22enne che cerca di realizzare il sogno di diventare animatrice e si lascerà con il ragazzo dell’epoca, nel secondo una ragazza madre (che rimane con quel ragazzo) con tutto il peso dei sogni inespressi e il talento tenuto dentro di sé che cerca di uscire. Di abortire non si fa nemmeno menzione, non è calcolato. È chiaro che è una decisione utile alla trama (le due vite devono essere molto differenti quindi il bambino ci deve essere), lo stesso non discuterne, non menzionarlo, non considerarlo non è il massimo, come non è il massimo contrapporre una donna realizzata ad una donna madre che deve scalare montagne per sperare di realizzarsi e comunque dopo anni. L’aborto rimane qualcosa di difficile da vedere al cinema e comunque riservato a film d’autore durissimi. Il mainstream non lo considera, non ne parla. 

Accettando questi presupposti, Linee parallele fa un buon lavoro di scrittura, fluida e appassionata, sa divertirsi con la sua premessa, sa mescolare bene le acque e non è così ottuso da farsi schiacciare dalle proprie regole. Le due versioni della protagonista si incrociano anche se è impossibile, si sovrappongono e hanno vite dall’andamento simile. Alla base c’è la morale che regge sempre i film sui grandi domani americani, ovvero che non c’è forza più difficile da contenere di quella di un talento che deve esprimersi, che lo spreco di una potenzialità è un peccato talmente grave da suonare inaccettabile a tutti.

È semmai Lili Reinhart a non sembrare sintonizzata su questa idea. Le sue due Natalie sono molto molto simili e il film si industria di tagli di capelli (come Sliding Doors) e colori delle scenografie e costumi per differenziare le linee temporali (rosa e calda quella senza figli, blu e più fredda quella con figlio). Molto migliore quando deve gestire il registro da commedia e le battute più affilate e meno quando si tratta di sporcare tutto di drammatico, Lili Reinhart sembra recitare in un film un po’ diverso da quello che poi invece è Linee parallele. Anche la classicissima doppia storia d’amore che mette in scena la tensione tra sentimento e carne (una con il ragazzo affidabile che è sempre stato al suo fianco; l’altra con il bellone atletico, meno sicuro ma più sexy, incontrato nella sua vita da single) è portata avanti meglio dalla messa in scena che da lei.

Tuttavia un bel finale che risolve con abilità l’intreccio e trova proprio nella scenografia e nella scelta degli ambienti per chiudere la storia una trovata quasi commovente (quasi!), ribadisce che questa non è la storia di una donna al servizio di un bambino o alla ricerca di un uomo che le stia accanto (come un po’ era Sliding Doors) ma della realizzazione personale di una persona attraverso difficoltà differenti che la portano più o meno sullo stesso percorso e che i timori di inizio film si sciolgono in una positivissima, molto zuccherosa e tranquillizzante (ma anche così americana da essere coinvolgente) rosea conclusione.

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