La linea verticale: la recensione
Con La linea verticale Rai 3 gioca la carta del dramedy, riuscendo a far sorridere e riflettere con un prodotto di qualità. La nostra recensione.
Dopo gli ottimi risultati ottenuti con il crime (Rocco Schiavone - La serie, Non Uccidere) e quelli meno incoraggianti riscossi dal dramma storico (Medici: Masters of Florence) e dal fantasy (Sirene), la Rai prova a "svecchiare" anche il comedy, un genere che, in forma serializzata, nel nostro paese ha funzionato molto raramente. Uno degli esempi più lampanti e riusciti è sicuramente Boris, e non è un caso che questo compito sia stato affidato a Mattia Torre, uno dei suoi tre autori.
Nonostante sul tema di fondo ci sia ben poco da scherzare, la serie si muove sapientemente sul doppio binario del dramma e della commedia, riuscendo molto bene nell'alternare momenti riflessivi a sequenze dal taglio surreale. Oltre che della scrittura, meno caciarona di quella di Boris ma altrettanto tagliente, questo risultato è merito anche dell'ottimo lavoro svolto dagli attori, molti dei quali già apparsi propio nella "fuoriserie italiana". Assieme a un Mastandrea in stato di grazia e a una convincente Greta Scarano nei panni della tenace moglie del protagonista, nel cast troviamo infatti Ninni Bruschetta, Paolo Calabresi e Antonio Catania, ma a spiccare più di tutti è uno spassosissimo Giorgio Tirabassi nel ruolo di un ristoratore con la passione per la medicina.
Nonostante non sia totalmente esente da difetti, con soluzioni visive non sempre all'altezza e alcuni personaggi fin troppo stereotipati, La linea verticale risulta essere un ottimo punto di partenza su cui costruire un nuovo filone della nostra serialità televisiva. Una serialità di qualità, rivolta al grande pubblico ma con una forte e riconoscibile vena autoriale, capace di ironizzare su temi difficili senza mai cadere nello scontato o, peggio ancora, nel cattivo gusto.