L'incredibile storia dell'isola delle rose, la recensione

La storia che più ci siamo raccontati negli ultimi anni è in L'incredibile storia dell'isola delle rose, un grande ponte verso il cinema americano

Critico e giornalista cinematografico


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Fai il pieno di avvocati stronzo!” dice Eduardo Saverin a Mark Zuckerberg nel confronto più duro di The Social Network e lo dice anche Giorgio Rosa a Franco Restivo, ministro dell’interno del secondo governo Leone nell’estate del 1968, in L’incredibile storia dell’isola delle rose.

Il quarto film di Sydney Sibilia (ma il secondo se si vuole considerare la trilogia di Smetto quando voglio come un corpo unico) è una storia italiana che abbiamo sentito molte volte, fino allo sfinimento, in un trionfo molto ideologico, molto politico e poco umano, poco viscerale, per nulla sentito. È quella del ‘68, raccontata stavolta con le tecniche del cinema americano. E, in questa forma, trova un senso nuovo, sentimentale e personale. Non la voglia di libertà di un popolo o una categoria ma la voglia di libertà contaminata di interessi, sentimento e voglia di realizzazione, di una persona sola in un momento cruciale.

Se dunque Smetto quando voglio aveva delle solide basi nel cinema italiano e ci si arrampicava per andare altrove, L’incredibile storia dell’isola delle rose sfrutta strutture, tempi, dinamiche e interazioni da cinema americano. Ne sono dimostrazioni evidenti il discorso di Rosa con il padre ma anche la scansione e l’escalation del conflitto con lo stato, dagli emissari fino alla citata telefonata in cui le individualità contrapposte si dimostrano l’uno il rovescio della medaglia dell’altro (“Anche io ho fondato uno stato, ma il mio ha un arsenale bellico!”) per una storia, realmente accaduta, che incredibile lo è per davvero.

Giorgio Rosa e la sua isola di ferro costruita da sé nelle acque internazionali, dichiarata stato indipendente e attaccata dalla Repubblica italiana perché inaccettabile sotto troppi punti di vista. Il dialogo migliore del film, quello con il cardinale, spiega la questione in maniera inappuntabile a partire da una foto sul giornale. Di nuovo dimostrando il tipo di sintesi visiva con la quale il cinema americano puntella i suoi scontri: facce, recitazione, frasi secche e un’ambientazione per l’interazione che è tutto. Anche per questo sembra che ci sia stata più concentrazione sul lavoro di recitazione di Bentivoglio (carichissimo) e Zingaretti, piuttosto che su Germano e De Angelis che guidano il film senza imporsi, servendo il film e dando tutto in pochissimi momenti.

Abbassando leggermente la presenza dell’umorismo (concentrato in 4-5 punti molto molto forti), alzando un po’ l’avventura, con il governo italiano come eccezionale villain da operetta, e gestendo benissimo il sentimento con restìa timidezza verso gli slanci ma concreta decisione nel raccontarlo facendo dell’impresa una grande dichiarazione, Sibilia trova un equilibrio ancora migliore di quello di Smetto quando voglio. Se quel primo film (scritto con Valerio Attanasio) più dei seguenti era un’esplosione di umorismo con una grande idea dietro politica e sociale, questo è un incendio in cui la commedia brucia di molte più idee politiche, sociali e soprattutto umane! Lo si vede dai dettagli, dalla cura e dalla voglia di divertire e divertirsi, lo si vede anche solo da come il pubblico salta in una scena al cinema creando un effetto comico per nulla facile.

Giorgio Rosa, un nerd come i ricercatori di Smetto quando voglio, ha infatti sì un desiderio di libertà ma finalizzato a poter sfogare la propria voglia di costruire e creare, non finalizzato ad un domani migliore. Tramite questa sineddoche personale che scarta subito la solita prospettiva alta a cui punta il cinema italiano, Sibilia (che il film l’ha scritto con Francesca Manieri) riesce paradossalmente ad arrivare molto più in alto. Soprattutto riesce ad arrivare a tutti, non parla mai ai convertiti.
Certo, il piccolo uomo che compie un’impresa gigante (“da film”) grazie alla conoscenza è il cinema di Sibilia in una frase, ma è in fondo anche una metafora dei suoi stessi tentativi di fare film mai visti nel cinema italiano pensando in grande. Costruendo davvero la piattaforma del film, mettendo in scena come non mai un periodo abusato.

Sei d'accordo con la nostra recensione di L'incredibile storia dell'isola delle rose? Scrivicelo nei commenti dopo aver visto il film, disponibile su Netflix dall'11 dicembre!

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