Lincoln, la recensione [2]

Pieno di dati, date e nozioni Lincoln è più storia da liceo che storia come somma di vite vissute. Sembra uscire da una zona fuori dal tempo e non è pensato per i non-Americani...

Critico e giornalista cinematografico


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Leggi la recensione di Andrea Bedeschi

Per il presidente dei presidenti Steven Spielberg mette in piedi la più elaborata e complessa recita scolastica che si sia mai vista. Perchè se il senso del cinema di questo incredibile regista (mai cantato come meriterebbe) gli consente di pennellare una storia piena di dati, date e intrighi politici non semplici da seguire (per nomi, somiglianze e presupposti storici che non tutti padroneggiano) con l'afflato e la morbidezza dei racconti popolari veri, è anche indubbio che Lincoln ha tutti i difetti delle recite scolastiche.

L'irriducibile missione didattica, la farcitura dei dialoghi con nozioni, la spiegazione sempre dietro l'angolo "Mi sembri triste. E' forse per quel famoso discorso che tenesti....", "Proprio tu che noto fosti per la tua tempra di ferro e che solo 20 anni fa tenevi testa alle truppe nella battaglia..." e via dicendo, gridano liceo in ogni momento. E' la storia spiegata in forma drammatica, ma non Storia nel senso cinematografico quanto in quello testuale dei libri di testo, la storia come materia scolastica, come nozioni da imparare e non vita da narrare.

Come nelle recite di Natale Lincoln (il film) sembra esistere ed essere stato realizzato in un limbo fuori dal tempo, come se si ripetesse uguale da decenni, scevro com'è di riferimenti all'attualità o anche semplicemente noncurante che quel che dice e mostra non ha nessuna attinenza ormai con quel che l'America è e fa, o anche semplicemente con quel che dell'America si dice.

Senza porsi o porre allo spettatore delle domande ma presentandogli solo certezze, inframezzate da una piccola dose di umorismo (grossolano ma portato con grazia da un cast splendente), Lincoln ha un fascino fuori di dubbio, dato dai suoi colori poco saturi, dalle luci sempre drammatiche e ammalianti che cercano di colmare il gap tra cronaca e mito e ovviamente dallo straordinario Daniel Day-Lewis, presidente in un'epoca in cui nessuno ne aveva mai ucciso uno che gira liberamente senza scorta, entra nelle case, parla con i passanti e racconta storie per affascinare con i suoi occhi dolci e malinconici.

Ma parlare di schiavitù e di liberazione dei neri in un film pieno di bianchi è più materia buona per la serata degli Oscar che per un film rigoroso e serio. L'eroe della lotta per i diritti è un bianco, aiutato da un bianco che si batte contro altri bianchi e alla fine vincerà convertendo altri bianchi ancora.

Se davvero esiste un "sistema" cioè un complesso di produzione e distribuzione forte e coordinato che promuove se stesso e un certo tipo di elite, allora Lincoln è pienamente un film di e per il sistema. Ammaliante, fascinoso, noioso e puntiglioso Lincoln è irrimediabilmente distrutto dall'edizione italiana in cui Pierfrancesco Favino deve ingratamente doppiare l'immenso Day-Lewis con una voce da vecchietto e Sergio Rubini, senza modificare il suo tono abituale, dà vita alla controparte. Forse l'idea era che così non ci saremmo fatti annoiare da due ore e mezzo di discussioni sul sistema governativo americano....

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