Limonov, la recensione | Cannes 77

La vita di Limonov, artista, dissidente e rivoluzionario che non era niente di tutto questo è per Serebrennikov l'ultimo dei suoi eroi vitali

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Limonov, il film di Kirill Serebrennikov tratto dal romanzo di Carrére presentato in concorso al festival di Cannes

Ci voleva Kirill Serebrennikov per rispondere al cinema americano sul suo terreno. Quando la storia di Limonov, poeta dissidente in cerca di un esilio che lo nobiliti, si sposta nella New York degli anni ‘70 la color correction cambia e diventa quella blu e grigia con la quale da più di un venti anni il cinema americano ha deciso che si filmano le storie ambientate negli stati dell’Europa dell’est all’epoca dell’Unione Sovietica. In Limonov è l’America della guerra fredda a essere dipinta come di solito gli americani dipingono l’URSS, cioè un posto caotico, brutto, pessimo, corrotto e in cui un’oligarchia di pochi ricchi perpetua se stessa alla gestione del potere mediatico ed economico.

È una delle molte idee con cui Serebrennikov adatta il romanzo di Carrère su Limonov, vero artista, dissidente, rivoluzionario e perfetto simbolo della transizione da Unione Sovietica a Russia a Putin. Ma più che al romanzo e alla vera vita di Limonov Serebrennikov è interessato al suo rapporto con l’industria culturale, a come questa persona di suo aderisca in pieno ai protagonisti dei film Serebrennikov, tutto istinto, successo, donne, vita, arte, che sembra non ragionare mai e agire sempre di istinto. È la visione della personalità artistica per Serebrennikov ma anche il tipo di essere umano che gli faccia venire voglia di fare un film. E proprio la voglia di fare un film permea Limonov (e invece mancava a La moglie di Tchaikovsky, primo film realizzato dopo la fuga dalla Russia).

E questo è a tutti gli effetti un film di Serebrennikov, in cui gli istinti (quello sessuale su tutti) sono il trainante della trama e quello che fa impazzire o motiva i personaggi a raggiungere i loro obiettivi. Sesso etero o omosessuale, come si vede, anche se come sempre a emergere davvero è il suo sguardo sulle donne, al tempo stesso ammirato dalla loro potenza e anche totalmente soggiogato e ossessionato dalla capacità attraente del loro corpo, il simbolo di tutto quello che di buono e sereno può esistere, del desiderio nel senso più elevato. Ogni altra bramosia delle molte che popolano i suoi film sembra essere una filiazione di quella per il corpo femminile.

Questo è un film in cui i personaggi sono sempre uguali, è il mondo che lungo quasi 50 anni cambia intorno a loro, determinando sconvolgimenti e capovolgimenti di fronte, Limonov fugge dalla porta dell’URSS e poi rientra dalla finestra della Russia post-sovietica degli anni ‘90, prospera nella dissidenza, sfocia nell’insurrezionalismo, attraversa gli anni ‘80 in un montaggio eccezionale nel quale la storia è sulle pareti, è intorno a lui, ne è testimone muovendocisi dentro ma non riesce a incidere come vorrebbe. Tutto coerente con il fatto che Limonov è un film di porte attraversate. Uscendo dalle porte si passa di status, ci si trova in un’altra epoca o un altro luogo o alla fine, uscito da quella definitiva, quella del carcere, si diventa realtà, cioè il vero Limonov delle immagini di repertorio.

Non è questo certo il film per capire la storia di questa persona, non è nemmeno un film per capire la storia di quegli anni e della Russia, benché sia una gran parte del suo racconto. Questo è un film per capire che esistono alcune persone che per ragioni a noi sconosciute hanno un fuoco dentro che li rende ingovernabili, anche da parte di loro stessi, che bruciano così intensamente di desideri, rabbia e voglia, da autodistruggersi e nel farlo distruggere gli altri intorno a loro.

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