Lightyear - La vera storia di Buzz, la recensione

Il primo spin-off di Toy Story non ha niente a che vedere con i giocattoli ma è un film di fantascienza puro

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Lightyear - la vera storia di Buzz, in uscita in sala il 15 giugno

Non ha niente a che vedere con Toy Story questo spin off su Buzz intitolato Lightyear, perché non è la storia di un giocattolo ma di un personaggio di fantascienza. È quindi il secondo film di fantascienza della Pixar, diretto da un regista che si è fatto le ossa nella società e che come primo incarico da regista ha diretto Burn-E, il corto collegato a Wall-E

Dunque funziona come film sci-fi e anzi ha una strana maniera di unire molti temi della fantascienza contemporanea a molti luoghi comuni delle storie Pixar, quella che potremmo definire l’etica dello studio riguardo il rapporto con la tecnologia.

In Lightyear infatti Buzz è uno space ranger che, per un suo errore, fa finire una colonia spaziale su un pianeta popolato da alieni pericolosi. Ci vuole un anno per poter tentare il primo test di volo che, qualora fosse un successo, porterebbe ad una possibilità di fuga da quel pianeta inospitale. Al ritorno dal test fallimentare però Buzz scopre che se per lui sono passati pochi minuti, sul pianeta invece sono passati 4 anni. Di test in test così passano interi decenni e la colonia comincia ad abituarsi a vivere su quel pianeta, almeno fino a che, all’ennesimo ritorno dallo spazio, Buzz nota un’astronave minacciosa nel cielo ed equilibri completamente diversi.

Come in Interstellar il tempo scorre diversamente per personaggi diversi. Come in Uomini veri (che era stata un’ispirazione importante per Interstellar) nelle sequenze di volo sentiamo la pressione, le ali che tremano, il mezzo che sembra cedere all’impatto della velocità. Lightyear è un film d’animazione che insegue tantissimo il cinema dal vero di fantascienza e che, per questo, dismette tutto ciò che la saga di Toy Story aveva di “animato”, cioè le concessioni e le deformazioni che caratterizzano l’animazione. Questo è un film che nonostante ci tenga alla continuity di Toy Story (lo si capisce dai mille riferimenti agli atteggiamenti di Buzz ma anche da un personaggio introdotto nella seconda metà), di fatto è una storia originale.

Più familiare di Buzz però è il tono Pixar, il fatto che sia l’unica società di produzione che nel raccontare la classica storia di un eroe che lotta contro l’automazione per affermare l’importanza dell’elemento umano (come Stallone in I mercenari, come Tom Cruise in Top Gun: Maverick) alla fine la lezione che imparerà sarà il contrario, capirà che è sbagliato. Se in Interstellar la costante del protagonista attraverso il tempo è la figlia, qui per Buzz la costante è un’intelligenza artificiale. Le macchine e la tecnologia per la Pixar sono sempre migliori degli uomini, sono soggetti per i quali provare sentimenti. Così nonostante Lightyear si presenti come un film molto godibile ma di certo non eccezionale, è anche innegabile il modo in cui confermi che la Pixar (al netto dei riferimenti sopra citati) è ancora uno dei pochi studi che con regolarità sa inventare personaggi e dinamiche che sorprendono e non sembrano il riciclo di altre idee.

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