Licorice Pizza, la recensione

La storia di un rapporto tra due ragazzi filtrato dal ricordo e dalle musiche, dai tramonti e dalla luce della San Fernando Valley

Critico e giornalista cinematografico


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Licorice Pizza, la recensione

Da un certo punto in poi, all’incirca da Il petroliere e poi ancora di più da The Master, una caratteristica delle storie e dei personaggi di Paul Thomas Anderson si è fatta sempre più evidente e cruciale, il racconto di personaggi che si usano a vicenda. Possono essere legati da relazioni sentimentali in modo sincero ma nel loro rapporto entra sempre l’opportunismo, il servire gli uni agli altri, cosa che intorbidisce le acque di ogni storia e rende ogni legame impuro e quindi interessante. In Licorice Pizza un ragazzo è innamorato di una ragazza di dieci anni più grande di lui, e ne conquista l’interesse in un piano sequenza iniziale che è una masterclass su come si introducano una situazione, un posto, una storia e dei personaggi creando al tempo un gancio la cui presa dura tutto il film e un piacere che non finisce mai. Lei non ama l’idea di un ragazzino che le viene dietro ma è attirata da questo che pare un adulto, e soprattutto in lui, così risoluto, vede una maniera di trovare un senso alla propria di vita. Perché nonostante lo dica apertamente e subito, ci vorrà molto per noi per arrivare a capire davvero come lei, Alana Haim, desideri solo trovare un senso alla propria vita e diventare indipendente.

I due cominciano a lavorare insieme a diverse imprese più o meno di successo, più o meno sensate, il che li porta attraverso conoscenze, arresti, incidenti e incontri che animano il film. Lei ha l’andatura storta ma attraente di una performer (è la cantante del gruppi Haim), lui è Cooper Hoffman, figlio di Philip Seymour Hoffman e ha un personaggio che potrebbe tranquillamente essere la versione giovane di quello che il padre interpreta in Ubriaco d’amore. Il punto di tutta la storia tra questi due però è come aiuti il cinema a ricostruire un’epoca e, a differenza di Tarantino, un momento della vita dell’autore. Lo capiamo da quel ritmo eccezionale, stupendo e compassato che apre Licorice Pizza e segna il rapporto con il passato. Quel tempo lieve che guida il primo piano sequenza e annuncia subito l’aura del ricordo lieve, ingentilito dal tempo e dalla musica di Nina Simone. Con quel fare sospeso e fuori dai canoni per quel che vediamo (una scena di rimorchio) Licorice Pizza ci dice subito che sta accadendo qualcosa di inusuale.

Sarà una costante del film, anche più che nei precedenti di Paul Thomas Anderson, il fatto che le scene prendano il ritmo della musica che le accompagna. Non è una questione di montaggio (non solo) come nei videoclip banali ma come nei videoclip migliori (e nei decenni Anderson ne ha diretti tantissimi) è questione di fare in modo che il ritmo della narrazione di volta in volta sia calcato su quello del brano, che movimenti, alternanza dei dialoghi, sguardi e languore siano quelli, raggiungendo un accordo audiovisivo in cui  prospera la memoria e la ricostruzione falsa (falsata proprio da quel ritmo della period music, del resto il titolo è il nome di una catena di dischi). Questo stile eccezionale tiene in piedi un film eccezionale, anche quando esagera con il compiacimento e filma segmenti poco riusciti (sia quello con Sean Penn che quello con Bradley Cooper) o quando sembra divertirsi eccessivamente nel mettere in scena con ironia la stranezza californiana, dimenticando per un attimo noi e concentrandosi sul set e il divertimento tra attori e registi.

Licorice Pizza però è anche una maniera per Paul Thomas Anderson di ripassare il suo cinema (quello ambientato nella San Fernando Valley e non solo). Il film è pieno zeppo di inquadrature che vengono da altri film di Anderson come se il suo cinema fosse stato tutto fatto ormai e non rimanesse che riassemblarne i pezzi per nuove creazioni anche magistrali, appassionate e attraenti ma necessariamente non più sorprendenti. A sorprendere non sono più le trovate formali ma la fattura. Può sorprendere la maniera in cui filma la tenerezza di una telefonata muta e la usa per raccontare uno snodo cruciale di un rapporto particolare (di nuovo con un ritmo che ricalca quello del brano musicale che sentiamo), oppure può sorprendere come scendere a marcia indietro per un pendio di curve senza benzina diventi la sublimazione di un periodo della propria vita, la rappresentazione di come questi ragazzi che paiono adulti in un mondo di adulti che paiono ragazzini, con i loro corpi fuori standard, volti non da cinema e posture ordinarie, vivano situazioni che sono eccezionali solo per come le mostra Anderson (che le ricorda) e non in sé.

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