Licorice Pizza, la recensione
La storia di un rapporto tra due ragazzi filtrato dal ricordo e dalle musiche, dai tramonti e dalla luce della San Fernando Valley
Da un certo punto in poi, all’incirca da Il petroliere e poi ancora di più da The Master, una caratteristica delle storie e dei personaggi di Paul Thomas Anderson si è fatta sempre più evidente e cruciale, il racconto di personaggi che si usano a vicenda. Possono essere legati da relazioni sentimentali in modo sincero ma nel loro rapporto entra sempre l’opportunismo, il servire gli uni agli altri, cosa che intorbidisce le acque di ogni storia e rende ogni legame impuro e quindi interessante. In Licorice Pizza un ragazzo è innamorato di una ragazza di dieci anni più grande di lui, e ne conquista l’interesse in un piano sequenza iniziale che è una masterclass su come si introducano una situazione, un posto, una storia e dei personaggi creando al tempo un gancio la cui presa dura tutto il film e un piacere che non finisce mai. Lei non ama l’idea di un ragazzino che le viene dietro ma è attirata da questo che pare un adulto, e soprattutto in lui, così risoluto, vede una maniera di trovare un senso alla propria di vita. Perché nonostante lo dica apertamente e subito, ci vorrà molto per noi per arrivare a capire davvero come lei, Alana Haim, desideri solo trovare un senso alla propria vita e diventare indipendente.
Sarà una costante del film, anche più che nei precedenti di Paul Thomas Anderson, il fatto che le scene prendano il ritmo della musica che le accompagna. Non è una questione di montaggio (non solo) come nei videoclip banali ma come nei videoclip migliori (e nei decenni Anderson ne ha diretti tantissimi) è questione di fare in modo che il ritmo della narrazione di volta in volta sia calcato su quello del brano, che movimenti, alternanza dei dialoghi, sguardi e languore siano quelli, raggiungendo un accordo audiovisivo in cui prospera la memoria e la ricostruzione falsa (falsata proprio da quel ritmo della period music, del resto il titolo è il nome di una catena di dischi). Questo stile eccezionale tiene in piedi un film eccezionale, anche quando esagera con il compiacimento e filma segmenti poco riusciti (sia quello con Sean Penn che quello con Bradley Cooper) o quando sembra divertirsi eccessivamente nel mettere in scena con ironia la stranezza californiana, dimenticando per un attimo noi e concentrandosi sul set e il divertimento tra attori e registi.
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