Liberami, la recensione

In un luogo e un tempo che paiono lontani ma sono il meridione di oggi, Liberami racconta gli esorcismi di oggi riuscendo a suggerire cosa nascondano

Critico e giornalista cinematografico


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C’è un prete esorcista che vive e opera in una grotta, una grotta allestita con altare e stanze da esorcismo, ce n’è un altro che invece opera in una più canonica chiesa, ci sono i posseduti che vengono da background normali oppure sono pieni di tatuaggi e piercing, ci sono dei fedeli che sono stati posseduti e ora lavorano al fianco delle forze del bene, riunioni di autocoscienza e anche un summit di tutti gli esorcisti al Vaticano, ma nulla è come ci immaginiamo. Francesca Di Giacomo lavora con la forma moderna del documentario, quella che flirta con il cinema di finzione, non mentendo o inventando ma riprendendo e tagliando gli eventi veri per suggerire parallelismi tra la vita vera e le vite false che il cinema ha sempre inventato. Immagini reali messe insieme e guardate per apparire simili al cinema. Eppure tutto è grottesco.

Liberami è un documentario di una bellezza ed un’umanità encomiabili, un prodotto pienamente italiano in cui l’ironia e l’umorismo portano uno strato in più di complessità e non solo l’alleggerimento di situazioni limite. Nel meridione di provincia l’esorcismo sembra una pratica all’ordine del giorno e i posseduti paiono vivere tutti nei dintorni dei luoghi in cui è ambientato il documentario. Ogni cosa diventa possessione nelle stanze o nelle grotte di quei preti, un figlio scapestrato, una moglie repressa, problemi coniugali o di lavoro, tutto diventa urla, grida, strepiti, insulti e bava alla bocca che il prete esorcizza con formula, acque sante e tutto il corollario noto ma tra una pastarella e l’altra, tra un errore di italiano, una parola di dialetto e un formalismo meridionale e l’altro.

In questo mondo in cui gli esorcismi sembrano una recita dove ognuno dei due coinvolti parla e si muove come nei film a tema, ma con una convinzione che è superiore a qualsiasi finzione, la possessione demoniaca, senza che nessuno lo dica, riesce ad essere presentata come lo sfogo di tutt’altro. Federica Di Giacomo è bravissima a lavorare di dettagli, piccole inquadrature speciali e rammendi di montaggio dalla minuzia lodevole per suggerire senza affermare mai apertamente che c’è un universo di repressione femminile in queste possessioni, subite quasi sempre da donne, c’è un mondo di cortesia e umanità dei preti che comunque finisce sempre addosso alle donne. Che il massimo del gentile e lodevole nasconde in realtà la giustificazione di un sistema di valori e priorità totalmente maschile.

Questo documentario bello e divertente è una cattedrale votata alla scoperta della complessità dell’umiliazione. Non è il mistero della fede o quello ultraterreno ad interessare davvero la regista, è il mistero dell’arretratezza culturale e dell’incredibile contrasto, che esiste ancora in molti luoghi, tra il mondo moderno che circonda queste persone e i costumi medievali che trovano sempre nuovi modi per integrarsi nella modernità.
Non possono portare la cintura di castità queste donne ma non cambia molto. Non sono bruciate sul rogo ma comunque incolpate. E alla fine, anche nel grande congresso di esorcisti (non il luogo più moderno del mondo), il prete di caverna che facilmente potrebbe essere definito “cavernicolo” appare proprio come una mosca bianca, l’ambasciatore di un altro tempo.

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