Leurs Enfants Après Eux, la recensione: la Francia degli anni '90 raccontata male

Le storie di quattro ragazzi dal 1992 al 1998 dovrebbero essere in Leurs Enfants Après Eux un fiume in piena di passioni ma è solo cinema fatto male

Critico e giornalista cinematografico


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Ci sono tre estati tra il 1992 e il 1998 attraverso le quali raccontare in modo piuttosto maldestro un pezzo di Francia, cercare di riflettere in maniera confusa sui rapporti con i padri e mostrare con pretese di resoconto sociale la condizione della seconda generazione. Leurs Enfants Après Eux, dei fratelli Boukherma, è un pasticcio che vuole gestire e scagliare contro lo spettatore personaggi animati da passioni incontrollabili, destini segnati e vite pericolose che sfiorano la morte, esaltando così il desiderio di vita. Non stupisce che tra i produttori ci sia Gilles Lellouche (che interpreta anche il padre del protagonista), già regista di un film dal tono simile, L’amour ouf, che almeno era davvero vitale e passionale.

Leurs Enfants Après Eux è una brutta copia di quel film, che fa anche un pessimo uso della colonna sonora alternative rock anni '90 (meglio l’uso che fa delle console di videogiochi per caratterizzare un'epoca e il senso di essere ragazzi), applicandola alle immagini senza mai modularla, mai in armonia con il montaggio o in sintonia con ciò che vediamo. I fratelli Boukherma si affidano più alla colonna sonora di quanto la utilizzino in modo creativo, credendo fortemente nel suo potere, a giudicare da quanto ricorrono a canzoni originali, confidando che queste diano tono alle scene. Non funziona.

Le vite animate da sentimenti giganteschi e incontrollabili appartengono principalmente a quattro ragazzi (ma anche il padre del protagonista non è da meno!). Uno è algerino e, in un segmento mal montato e narrato, sarà rispedito in Algeria, per poi tornare criminale e cambiare idea al primo pestaggio. Un altro è un ragazzo di una famiglia difficile. Un'altra è la ragazza più ricca, di cui è innamorato, e infine c’è l’amico fidato. L'armamentario è quello delle canzoni di Springsteen, solo spostato in Francia e svilito nell'epica provinciale. Il tutto si concluderà con i mondiali del 1998, quando l’idolo di Francia è l'algerino Zidane, in una sorta di segmento finale che dovrebbe dirci come alcune cose cambiano, mentre altre no. O almeno così sembra di capire.

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