A letto con Sartre, la recensione

Ad un primo impatto sembrano incapaci di capire ciò che stanno facendo e invece alla fine, proprio per la loro ingenuità, ci convincono di essere quelli che più di tutti vivono con profondità l’esistenza: esattamente in nome di Sartre.

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La recensione di A letto con Sartre, al cinema dal 26 gennaio

A letto con Sartre è scritto, realizzato e recitato con un contrasto bellissimo: quello tra la bassezza morale dei personaggi, o meglio il cinismo che incarnano attraverso i loro gesti (trafficanti di droga spietati, un’attrice omicida) e il loro struggersi - prima comico, poi quasi commovente - per la poesia delle cose quotidiane, per la bellezza inaspettata del vivere. Questo contrasto, sulla carta, è decisamente difficile da ottenere: Samuel Benchetrit tuttavia lo fa scorrere con naturalezza tra le pieghe di una trama esile (è più il racconto di un contesto che una storia vera e propria), riuscendo difatti a creare un film decisamente originale, costellato di momenti di inaspettata comicità e dolcezza dai toni teneramente surreali.

Il microcosmo umano di A letto con Sartre è quello di una rete sfilacciata di conoscenze, parenti e amici in un’anonima città portuale francese. Non è la storia di una comunità, ma più di un gruppo di persone legate per un motivo o per l’altro tra di loro e che hanno tutte in qualche modo a che fare con “il boss” Jeff de Claerke (François Damiens). Sappiamo che lavora in qualche traffico illecito, ma non viene approfondito cosa: l’unica cosa che ci importa sapere è che è un tenerone che scrive poesie per la cassiera di cui si è invaghito e che fa consegnare al suo scagnozzo perché si vergogna. Ecco, in quella vergogna un po’ tonta c’è tutto lo spirito di A letto con Sartre, un film fatto di personaggi “coeniani” che si prendono estremamente sul serio mentre noi, che li guardiamo, ridiamo di loro e ci commuoviamo per la loro ingenuità.

Alcuni personaggi sono più a fuoco di altri: alcuni sono messi lì semplicemente per far ridere ogni tanto (i due sottoposti che obbligano i compagni di scuola della figlia di Jeff a venire alla sua festa ricorrendo a maniere… forti), altri per essere usati là dove serve in un preciso momento di rivelazione (quello interpretato da Valeria Bruni Tedeschi, che fa la moglie di Jeff). Altri ancora li seguiamo un po’, li perdiamo, li ritroviamo. E quando questa dispersione di storie e profili umani sembra perdere il filo, ecco che proprio dove serve Samuel Benchetrit lo riprende riuscendo a dare un senso caotico ma stranamente coerente a tutto il film.

Tra le cose più belle, oltre a questa costruzione “umana”, c’è l’uso a volte esilarante della musica che tocca il genio nella sottigliezza dell’allusione: un pianoforte malinconico che risuona in momenti tutt’altro che distesi e che crea anch’esso un altro contrasto, quello visivo-sonoro.

Ciò che dà il senso a questo “caos calmo” è allora proprio l’amore per la vita (e alla pari una vita votata all’amore) di questi inetti che si danno alla poesia, alla filosofia o al teatro. Ad un primo impatto sembrano incapaci di capire ciò che stanno facendo (per questo ne ridiamo), e invece alla fine, proprio per la loro ingenuità, ci convincono di essere anzi quelli che più di tutti vivono con profondità l’esistenza: esattamente in nome di Sartre.

Siete d’accordo con la nostra recensione di A letto con Sartre? Scrivetelo nei commenti!

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