Les Amandier, la recensione | Cannes 75
Un parte della vita di Valeria Bruni Tedeschi romanzata per lo schermo è il trionfo dell'autoassoluzione e dell'indulgenza
Nel grande cast corale di Les Amandier ogni spettatore può scegliere il personaggio che lo irrita di più. Se il bello maledetto e tormentato o la rossa vivace e sessualmente disinibita, se la ragazza di buona famiglia dai sentimenti sinceri o anche il maestro durissimo e venerato. Siamo in una scuola di recitazione degli anni ‘80, e dinamiche da Saranno famosi vengono applicate ad un pezzo di vera vita di Valeria Bruni Tedeschi, per l’occasione romanzata per noi con un’indulgenza verso di sé, la propria generazione, gli attori e quel mondo rappresentato che rompe qualsiasi misuratore di indulgenza e autoassoluzione usiate.
Forse è perché sono giovani, più probabilmente perché sono attori in un film dedicato tutto a loro, alle loro facili fragilità, alle loro stranezze e stravaganze simpatiche (no). Personaggi a cui tutto è concesso nel nome di non è chiara quale benevolenza o tolleranza non concessa invece ad altri in una delle più flagranti forme di autoassoluzione sullo schermo viste negli ultimi anni. Se l’irritazione è un sentimento soggettivo più obiettiva è invece la farraginosa maniera in cui questo film cerca di creare tramite l’unione di tante piccole storie il senso di un momento storico e di una piccola comunità di ragazzi.