L'era glaciale - Le avventure di Buck, la recensione

Con un'animazione di bassa lega, questo primo spin-off di L'era glaciale si attesta come uno dei migliori esempi di "film concepito da uno studio"

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di L'era glaciale - Le avventure di Buck, in uscita su Disney+ il 23 marzo

Come sarebbe un film se fosse concepito direttamente da uno studio di produzione, se non avesse davvero degli sceneggiatori o un regista ma se fosse il frutto delle riunioni di un grande studio, scritto dallo zeitgeist di quello che da una parte l’industria hollywoodiana ritiene essere ciò che funziona ora, dall’altra ciò che ha sempre funzionato, lo spirito americano più classico, unito ai temi più attuali? Come sarebbe un film simile, scritto per assecondare ciò che gli studios pensano attragga il pubblico e funzioni?

Sarebbe come L’era glaciale - Le avventure di Buck. Ecco come sarebbe.

Con un riassunto dei capitoli precedenti della saga di L’era glaciale fatto nel più classico dei 2D che introducono un film animato in computer grafica (stavolta sono pitture rupestri), questo film mette al centro i due opossum già parte della banda (che si comportano e agiscono come dei bambini i cui genitori sono gli altri personaggi) e Buck, altro personaggio già visto e qui in teoria centrale (secondo quanto dice il titolo) ma in realtà tirato in ballo un po’ tardi per essere un vero protagonista. Loro sono presi in un’avventura nel mondo nascosto fatto di dinosauri fantasiosi il cui design sembra rubato a Dragon Trainer.

In questa fiera del riciclo di idee viste altrove l’animazione è di un livello eccezionalmente basso. È il primo film di L’era glaciale sotto il marchio Disney (prima era della 20th Century Fox) e sotto il profilo tecnico il passaggio è stato dolorosissimo. Non solo sembra un film senza un team creativo vero, ma anche senza capireparto, realizzato dalle sole maestranze.

L’avventura è quella di un eterno west, un mondo selvaggio da conquistare in cui i più coraggiosi possono vivere vite avventurose e ognuno si fa la propria legge. Dall’altro lato è anche una storia di bambini che passano all’età autonoma e lasciano il nido (un tema sconosciuto al pubblico di riferimento) e una che si chiude con una sonora morale sul cambiamento che “alle volte può essere spaventoso, ma è necessario”. Una morale che non è esemplificata dalla storia, non è inclusa nella maturazione dei personaggi né emerge dagli eventi, è solo pronunciata.

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