Leo, la recensione
Nel pieno spirito del cinema per famiglie di Adam Sandler Leo si distingue per struttura, ordine e un umorismo centrato dall'inizio alla fine
La recensione del film di animazione Leo, disponibile dal 21 novembre su Netflix
In Leo, una volta tanto, Sandler non è forzato a mettere in scena il cinema per famiglie, a spiegare al pubblico di essere davanti a un film per tutti, di facile comprensione e scarso impegno, ci pensa l’animazione colorata e pupazzosa nel più banale stile Pixar a farlo. Libero da questo impegno che in altri film lo assorbe sembra anche libero di concentrarsi su un umorismo bastardo, che non ha bisogno di clamorose dichiarazioni ma è sempre presente con piccoli accenni impossibili da non notare che ingaggiano con lo spettatore (finalmente) un rapporto quasi privato, scoppiando nella sua testa e non sullo schermo.
Questo non è un film di scrittura, si basa su un canovaccio che poi scricchiola nell’inevitabile finale avventuroso, ma come già fece Jerry Seinfeld conBee Movie, è un film di sole gag una dopo l’altra che tuttavia sono così precise da non stufare mai. La trama è la consueta ode delle vecchie generazioni che regna nei film per famiglie di Sandler, attraverso un meccanismo che si era più o meno già visto in Billy Madison (già lì lui aiutava i bambini delle classi che era obbligato a frequentare), finalizzato a una morale di trionfo dei modelli classici e del vecchio mondo sulle storture moderne. Ma troppo bene sono curati i personaggi (a partire dai bambini) troppo bene sono create le musiche (in stile Sondheim) e troppo bene gira questo ennesimo film di famiglia Sandler, in cui partecipano come doppiatrici le sue figlie (come ormai capita sempre più di frequente), per avercela con lui. Almeno stavolta.