The LEGO Movie: la recensione dei fratelli Toscano

Abbiamo chiesto ai Fratelli Toscano, autori di numerosi remake di trailer con i mattoncini LEGO, un'opinione su The LEGO Movie. Ecco le loro riflessioni...

Mi occupo di Badtaste dal 2004 con l'aiuto di un grande team.


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Dei fratelli Toscano vi abbiamo parlato diverse volte: Andrea e Antonio sono due ragazzi siciliani che realizzano remake in stop motion dei trailer utilizzando i mattoncini LEGO, il più recente che vi abbiamo segnalato è quello di Captain America: the Winter Soldier, che ha superato le 120mila visualizzazioni su YouTube.

Ecco quindi che ci è sembrato naturale contattarli per sapere il loro giudizio su The LEGO Movie, il film della Warner Bros. realizzato in animazione CGI con uno stile che replica proprio quello dei milioni di corti in stop-motion presenti su YouTube. Il risultato è una analisi davvero dettagliata scritta a quattro mani, che vi riportiamo qui sotto. Attenzione: la recensione contiene molti spoiler, quindi leggetela se avete visto il film!

Parlando del nostro punto di vista su The Lego Movie, pensiamo sia giusto lasciare ad altri il compito di raccontare ai lettori quante straordinarie trovate visive ci siano nel film, quante gag esilaranti e mai fini a se stesse, quanti spunti narrativi interessanti accompagnino il cammino del protagonista Emmet verso lo svolgimento finale della sua storia. Oppure quante indovinate citazioni e contaminazioni cinematografiche arricchiscano di continuo il film: come la del tutto inaspettata apparizione di Gandalf e Silente, confusi tra loro come spesso accade agli spettatori più distratti; o lo spettacolare ingresso addirittura del Millennium Falcon, graditissimo ritorno in scena e prima occasione per vedere Han e Lando finalmente insieme a bordo della “loro” nave (nonché per scoprire una buona volta che gli annosi problemi dell'iperguida del Falcon avevano una causa ben precisa: ora la gente lo sa, è stato Batman!).

Quello che invece cercheremo di fare sarà concentrarci sull'aspetto più evidente ma non per questo di più facile lettura del film: il fatto che i protagonisti siano i mattoncini Lego. Da anni seguiamo sul web il fenomeno dei brickfilm, i film in stop-motion realizzati da volenterosi e spesso eccellenti animatori appassionati di Lego; e da qualche tempo abbiamo avuto l'onore e la pazienza di far parte di questo fenomeno: speriamo che questa esperienza ci possa essere d'aiuto in un compito così gradito e complesso.

L'uscita nelle sale di un film interamente dedicato ai Lego e da essi interpretato ha ovviamente suscitato reazioni di ogni tipo nella comunità degli appassionati. Qualcuno l'ha presa forse un po' male, proclamando sul web che sono i brickfilm i veri “Lego Movie” (chiamando a testimoniare a proprio favore alcuni tra i migliori esempi del genere); altri invece non possono che sentirsi fieri di aver fatto parte di questo fenomeno diventato negli anni talmente potente da portare all'attenzione di Hollywood il successo dell'accoppiata Lego e cinema. E può anche starci il sospetto che molti, nel mondo dei cosiddetti AFOL (Adult Fans Of Lego) possano essersi sentirti chiamati in causa o ingiustamente messi in cattiva luce dalla piega che la storia del film prende nel finale. Noi abbiamo anche pensato subito alla possibilità di scoprire quale sarebbe stata la posizione “ufficiale” del film sul problema dell'uniformità dei colori della “pelle” dei pupazzetti (non solo giallo tradizionale, ma anche rosa per i set tratti da film): uniformità a cui nei nostri video abbiamo sempre tenuto a tal punto da arrivare a colorare digitalmente di rosa alcune facce gialle in scene in cui era inevitabile utilizzarle; problema che invece il film semplicemente non affronta, mescolando senza problemi gialli e rosa, e anzi facendo intenzionalmente scegliere a Vitruvius nella sua profezia di attribuire la “specialità” a un pupazzetto con la faccia gialla, quindi decisamente più “banale” e comune.

Di sicuro la prima perplessità era legata alla tecnica con cui il film sarebbe stato realizzato: non la vera, tradizionale e faticosa stop-motion, ma una sua evoluzione computerizzata, altrettanto complessa ed elaborata ma, nelle intenzioni degli autori, in grado di rendere realizzabili scene ad alto contenuto spettacolare altrimenti molto difficili: “sarà un incrocio tra Michael Bay e Henry Selick”, è stata per anni l'unica cosa che si sapeva di questo film. Ma adesso, avendolo visto (anche più di una volta), possiamo finalmente dire che è difficile dare torto a chi ha scelto questa tecnica, tale è stata la cura nel riprodurre fedelmente e fotorealisticamente l'aspetto dei mattoncini e dei pupazzi fin nei loro difetti (quasi commovente vedere la frattura sul casco dell'astronauta, specie per chi ha avuti tra le mani caschi Lego rotti in quella stessa identica maniera). E altrettanta cura è stata dedicata, per la gioia di chi la pratica dal vivo ogni volta che può, nel riprodurre al meglio la dinamica dell'animazione stop-motion, che obbliga i personaggi Lego a muoversi con i vincoli che la loro struttura di plastica gli impone. Una nota di merito va poi a chi ha curato l'aspetto scenografico, non soltanto per i maestosi set in cui si svolge l'azione, ma soprattutto per le piccole idee geniali che sfruttano i più comuni pezzi Lego per creare immagini nuove: come ad esempio lo strepitoso foglio arrotolato usato dall'araldo medievale per leggere, realizzato a partire da un comune sportello per auto. E ancora, è apprezzabilissima la scelta, non dettata evidentemente da limiti di spazio o di numero di pezzi a disposizione, e quindi del tutto stilistica, di utilizzare a volte delle versioni in miniatura dei set per realizzare scene complesse o viste in campo lungo: come nel caso della torre di Lord Business, vista in miniatura nel flashback di Barbacciaio e al momento del distacco dell'ultimo mortifero piano del grattacielo in occasione del Martedì del Taco.

E ci sono anche altre scene molto originali e ottimamente riuscite, come l'evoluzione narrativa di un aspetto che ultimamente accomuna molti pupazzetti Lego: la doppia faccia con espressioni diverse davanti e dietro. Tra i minifigure recenti troviamo infatti donne sorridenti da un lato e spaventate dall'altro, pugili vincenti e “suonati” al tempo stesso, eroi sorridenti o ghignanti... Risulta ottimo da questo punto di vista (e ancor più in lingua originale, se si fa caso al fatto che il doppiatore è lo stesso attore, e che attore!) il personaggio di Good Cop/Bad Cop, con le sue due personalità ben scritte e ben recitate, sempre molto divertenti ed efficaci, e condensate in un'unica testa gialla girevole. Ed è significativo che proprio questo personaggio sia protagonista, anche se negativo, di una delle scene più potenti del film che, ne siamo sicuri, potrebbe essere per le giovani generazioni l'equivalente in quanto a shock emotivo dell'uccisione di un cartone animato sciolto nell'acido in Chi ha incastrato Roger Rabbit: vale a dire la cancellazione di Good Cop a colpi di solvente da parte di Lord Business, un atto estremamente violento e scioccante, anche per chi ha avuto la fortuna di non vedere mai scomparire la faccia di un proprio pupazzetto (noi purtroppo non siamo tra questi ultimi). Che delusione però scoprire che il cattivo capace di tali atrocità sia il capo della Octan, cioè del marchio che compare su mitici vecchi set come la stazione di servizio o il camion da trasporto per le vetture di Formula 1!

Insomma, everything is awesome? Forse no: qualche difetto nella realizzazione del film c'è. A volte ad esempio si ha l'impressione che gli autori si lascino un po' troppo prendere la mano dalle potenzialità del mezzo tecnico a loro disposizione (non i Lego ma la grafica computerizzata), rendendo alcune scene talmente elaborate, complesse e soprattutto frenetiche e ipercinetiche, da rendere quasi impercettibile, e quindi inutile, il fatto che si tratti di Lego animati. Questo accade in alcune scene di combattimento e di inseguimento, in alcune scene di costruzione e in tutte le scene di costruzione durante un inseguimento. Si arriva a superare di gran lunga ad esempio lo stile delle sequenze di costruzione di un veicolo da parte di un pupazzetto apparse in tutti i recenti videogiochi Lego: sequenze veloci ma in cui mai si perde la coerenza della costruzione, del numero di pezzi a disposizione e dell'uso che se ne fa. Qui nel film invece la sovrabbondanza e la frenesia di ciò che accade sullo schermo comporta a volte che certi veicoli vengano creati tirando fuori i pezzi dal nulla (la scena del sottomarino su tutte), o comunque rendendo il meccanismo dell'assemblaggio dei pezzi del tutto secondario (e del fatto che renderlo sempre ben visibile sarebbe stato meglio ne sono la prova ad esempio i due tentativi falliti di Benny di costruire la sua astronave, che finiscono sempre con un disassemblaggio dei pezzi tecnicamente perfetto e sempre divertente). Queste scene che antepongono la spettacolarità alla natura di mattoncini dei soggetti risultano ancor più superflue se si fa caso a quale straordinaria efficacia visiva e narrativa i protagonisti riescono a raggiungere quando sono chiamati a “recitare” scene drammatiche: tra le quali vanno sicuramente ricordate lo sconforto di Emmet allo scoprire di essere considerato una nullità da tutti i suoi presunti amici, l'infinita tristezza di una Wonder Woman ridotta in manette, e addirittura la reazione di Unikitty, personaggio ad altissimo rischio di fastidio per tutti gli spettatori sopra i 5 anni (rischio non del tutto evitato), alla distruzione del proprio mondo. Tutte scene senz'altro figlie del massimo esempio di recitazione drammatica in CGI (ma non solo): il momento in cui i protagonisti di Toy Story 3 si prendono per mano nell'inceneritore.

Ma comunque, a compattare e a rendere sempre efficace e significativa la natura Lego del film, è il 3D, che mai come questa volta ha reso piacevolmente tangibili le immagini sullo schermo, e di conseguenza sensato il suo utilizzo.

Guardare The Lego Movie è quindi a conti fatti un vero piacere, sia per chi coi Lego ha una dimestichezza di lunga data, sia per chi a questo gioco comincia ad appassionarsi adesso (o che magari lo farà dopo aver visto il film), sia semplicemente per chi vuole gustarsi al cinema una storia bella e spettacolare. Tuttavia, a volerne guardare più in profondità la struttura narrativa, l'aspetto più problematico del film è senza dubbio la svolta nella trama che verso la fine porta il protagonista Emmet e noi con lui a scoprire la vera natura di quanto visto fino a quel momento sullo schermo.

Nonostante ampiamente annunciato da una serie di indizi sparsi per il film che mano a mano si fanno sempre più evidenti – il cerotto, la pila e gli altri oggetti nel museo di Business, il Kragle stesso, la visione di Emmet piena di immagini palesemente “live”, non animate, e quindi da subito riconducibili a un altro mondo, fino al cavo che regge il fantasma di Vitruvius – quello che Emmet vede una volta caduto nell'abisso della non-esistenza resta comunque un grosso colpo di scena. Se per i primi 70 minuti abbiamo assistito a un film ambientato in un mondo interamente fatto di Lego i cui unici abitanti sono i pupazzetti, dal quel momento in poi il mondo in cui si svolge il film è un altro: ed è, ovviamente, lo stesso di un altro film, il padre di tutti i film sui giocattoli, il già citato Toy Story. Emmet a quel punto non è più “un essere umano fatto di plastica” che vive in un mondo in cui tutti sono come lui, ma diventa un pupazzo, un giocattolo usato dai veri esseri umani nel mondo reale, il nostro. Ma in Toy Story questa dicotomia è evidente fin da subito, e soprattutto gli stessi protagonisti ne sono perfettamente consapevoli: sanno di essere giocattoli, sanno di avere una loro vita propria e di doverla tenere il più possibile nascosta agli occhi di chi solo giocattoli li considera. Emmet invece si trova in una condizione diversa: lui scopre per la prima volta l'esistenza degli umani, un po' come Buzz Lightyear, che, convinto di essere un vero Space Ranger, scopre invece di essere soltanto un “balocco per bambini” (e poi che anche questo non è in fondo così male). Che in Emmet ci sia a un certo punto un po' di Buzz sembra evidente anche nella scena più importante del suo percorso come personaggio, quella in cui accetta il fatto di non essere “speciale” come gli era piaciuto finora credere, e trasforma questa nuova consapevolezza nel suo vero eroismo che lo porta fino al sacrificio per salvare gli amici: e tutto questo accade mentre è legato a un ordigno di lì a poco destinato a ucciderlo, e un amico gli parla per aprirgli gli occhi su un modo tutto nuovo di sentirsi e di essere speciali, esattamente come quando Woody spiega il valore dell'essere giocattoli a Buzz legato al Big One.

Ovvio che avvicinarsi a Toy Story non può essere un difetto per nessun film, e per questo film in particolare; ma il modo in cui The Lego Movie affronta questo salto da un mondo all'altro, da un fantastico universo Lego a un normale mondo reale in cui i Lego sono giocattoli, seppure i più stimolanti e creativi, lascia delle perplessità, per almeno due ragioni. La prima, e la più cara a due amanti dei Lego (in particolare di quelli animati), è che i Lego sono sicuramente nella nostra percezione gli unici giocattoli al mondo ad avere una potenziale “autosufficienza”: come infatti ben 70 minuti di film dimostrano, è possibile con i soli mattoncini e pupazzetti girare un film con ambientazioni di città moderne, o western, o fantastiche, o sottomarine, di pirati e di castelli, senza che si senta mai il bisogno di altro (laddove invece, per intenderci, i giocattoli di Toy Story vivono da subito in un mondo che non è della loro stessa “pasta”). Un esempio lampante di questo modo di immaginare i Lego è, nello stesso film, la figura di Batman: non un pupazzo che rappresenta in forma di giocattolo il personaggio Batman, come lo sarebbe una action figure di qualsiasi altro genere, ma il “vero” Batman che ci sarebbe in un vero mondo fatto solo di Lego, talmente reale da essere davvero l'identità segreta della versione Lego di Bruce Wayne. Sembra perciò uno spreco dover per forza ricondurre i Lego alla loro natura di prodotto dell'industria ludica umana, quando funzionano già così bene come universo autonomo.

E poi è la scelta stessa di ambientare una scena nel mondo "reale" a rappresentare un rischio non indifferente; prima i Lego sembrano vivi e sembra stiano vivendo una loro storia, poi scopriamo che in realtà un bambino stava giocando con veri giocattoli: è una cosa che in Toy Story succede solo nella prima scena del terzo episodio, quando comunque tutto è già chiaro nella mente degli spettatori; e in questo caso risulta il plausibile finale per una pubblicità, forse quello perfetto. Insomma, il pericolo di una "deriva spot" era dietro l'angolo, e forse non è stato del tutto scongiurato, visto che alcune inquadrature della scena nello scantinato mostrano in primo piano esattamente i set Lego tratti dal film adesso in vendita. Tuttavia la presenza di un secondo personaggio e conseguentemente di un "conflitto", quello padre-figlio causato da una maniera radicalmente diversa di intendere il gioco dei e coi Lego, salva in qualche modo le cose. Assistiamo così a uno scontro e a una riconciliazione finale che si svolgono sia nel mondo reale sia nel mondo dei Lego visto durante tutto il film, anzi con un montaggio alternato che evidenzia come ogni gesto compiuto dagli umani nel loro mondo si realizzi immediatamente allo stesso modo anche nel mondo Lego (fino all'abbraccio finale tra padre e figlio / Business ed Emmet, scena che è anche la spiegazione degli strani “trampoli” del villain). È un modo sorprendente ed inusuale (ma non per questo non riuscito) di affrontare l'ultimo atto del film, specialmente tenendo presenti le precedenti scene di azione (l'inseguimento nel West, la costruzione del sottomarino), ambientate per intero nel rutilante, variopinto e sorprendente mondo Lego; è come il culmine di un processo che, come si diceva sopra, vede pian piano affastellarsi gli indizi sull'esistenza di un mondo reale che "guida" quello Lego. Ma è proprio questo l’aspetto che rimane alla fine del film poco chiaro. Vero è che sembra a questo punto abbastanza palese, data la corrispondenza gesti umani/gesti Lego di cui sopra, che il mondo dei minifigure non sia realmente indipendente, ma il dubbio rimane: il film che abbiamo visto è “soltanto” il frutto della incontenibile fantasia di un singolo bambino, compresa l’idea metanarrativa dei pupazzetti che credono nell’esistenza di esseri superiori a loro, i famigerati uomini delle scale?

Dal finale del film sembrerebbe essere davvero così, o in effetti dovrebbe essere ovvio dall'inizio, visto che in un mondo di soli Lego non ci sarebbero Kragle né cerotti né altri dei cimeli di Business, ma in fondo a noi resta il dubbio, o forse, la speranza. Ci sono infatti sparsi per il film alcuni elementi ambigui, che danno l’impressione che in realtà non ci sia stato il coraggio di fare una scelta davvero netta tra un mondo e l'altro, di dire una volta per tutte come stanno realmente le cose: uno su tutti il modo decisamente confusionario di introdurre nel film il tema della morte dei pupazzetti. Good Cop viene “ucciso” da Lord Business attraverso la cancellazione violenta dei suoi connotati: e abbiamo già detto quanto questa scena sia efficace. Vitruvius però muore decapitato: non ci sarebbe nulla di incoerente in questo, se non fosse che abbiamo già visto prima nel corso del film un personaggio perdere la testa, o meglio, conservare solo quella perdendo tutto il corpo, e continuare a vivere grazie a un corpo assemblato di mattoncini, idea in perfetto stile Lego. Volendo, si può anche citare il fatto che all'inizio del film, quando Emmet cade nel pozzo che lo porterà a scoprire il Pezzo Forte, è esilarante vederlo perdere la testa e poi riattaccarsela al volo, senza alcuna conseguenza come è giusto che sia. La morte di Vitruvius risulta allora incoerente, almeno per chi vuole che una coerenza ci sia anche (o forse soprattutto) quando si parla di giocattoli: e l'impressione è che in questo caso la necessità narrativa di far morire il mentore per dare una scossa al protagonista abbia prevalso sulle riflessioni legate alla natura del mondo messo in scena. E un senso di esitazione da parte degli autori a voler percorrere fino in fondo questa strada si avverte anche nelle pur esplicite scene alternate in cui i gesti degli umani si riflettono nelle immagini dei Lego, ma in cui praticamente mai le parole pronunciate dai pupazzetti gli sono visibilmente messe in bocca da chi li tiene in mano, come a voler comunque provare a non scontentare spettatori esigenti come noi (anche se, in effetti, nelle ultimissime scene le battute dell'incontro tra il rinato Good Cop e i suoi genitori sono dette per metà dal bambino che lo manovra).

Infine, se davvero tutta la parte Lego del film altro non fosse nelle intenzioni degli autori che la visualizzazione cinematografica di ciò che il bambino sta giocando nello scantinato del padre, non si spiegherebbe in nessun modo la presenza dei pensieri (anche se non delle parole, visto che non apre bocca) di Emmet anche nelle scene girate dal vivo: pensieri che appunto raccontano la sorprendente scoperta di un pupazzetto che diventa giocattolo ma non smette di essere personaggio. E soprattutto non si spiegherebbe, e davvero è impossibile farlo, quella che è forse la scena più complessa del film, a prima vista quasi esclusivamente comica ma in realtà chiave di volta di tutto questo discorso: il momento in cui Emmet cerca con tutte le sue forze di scappare dalla scrivania del padre/Business e tornare nel suo mondo. L'esilarante sgambettare e vibrare di Emmet sul tavolo, mai beccato però, in piena dinamica cartoonesca, dagli sguardi inquisitori di Will Ferrell, assume quindi una valenza formidabile: la lotta titanica di un piccolo pupazzetto dalle mani gialle per proclamare la sua indipendenza, quasi il libero arbitrio suo e del suo mondo. In quest'ottica è questa scena quindi per noi, più di ogni altra, a rendere Emmet un vero eroe, e a rendere noi fieri di averlo proprio in questo momento anche sulla nostra scrivania (dandogli uno sguardo, ogni tanto, nella speranza che si sia mosso).

Alla fine, in ogni caso, il "bene" trionfa in entrambi i mondi. In quello Lego a spuntarla ovviamente è l'eroe Emmet, insieme al suo team che più vario e variopinto non si può: l'aspirante eroina Wyldstyle, il conclamato eroe Batman, il "bionico" pirata Barbacciaio, il vecchio saggio Vitruvius, la tenera (ma attenti a non farla seccare!) gattina Unikitty e soprattutto Benny, l'irresistibile astronauta del tema spaziale anni '80, protagonista del momento più spassoso del film ("Astronave!"). Non è un caso che sia proprio una squadra così formata a trionfare sui grigi, monotoni e sempre uguali (a parte, in certi casi, vestiti e capelli) robot del pur redento Lord Business. Non bisogna sempre seguire le istruzioni: lo insegna il bambino a suo padre per mezzo di Emmet, che diventa un Mastro Costruttore nonostante all'inizio non riuscisse fare a meno né di quelle per costruire né dei tanto simili manuali di socializzazione. La diversità e la creatività trionfano così sul grigiore, sulla monotonia, sulla forzata stabilità di un mondo che per sua natura stabile non può essere e fermo non può restare, e in cui continuamente cose si costruiscono e cose vengono smontate, comprese le gerarchie che vedrebbero di solito eroi "di professione" (come Batman e Superman) prevalere su pupazzetti normalmente senza nome come quello di un operaio edile. Il messaggio risulta dunque per certi versi rivoluzionario all'interno del mondo Lego dei nostri giorni: l'eroe del primo film ufficiale dedicato ai celebri mattoncini è il normale, “anonimo” pupazzo di un operaio, che mai ha avuto un intero tema a lui dedicato (e men che mai un videogame - finora) e che addirittura alla fine ruba la ragazza a un personaggio con licenza (e non un personaggio qualunque!). È lecito comunque chiedersi se il sequel già annunciato vedrà ancora Emmet come eroe; sarebbe indubbiamente un piacere rivederlo in azione, e probabilmente sarà così, però ci sono dei "ma": dopotutto, se realmente è tutto frutto della mente di un bambino, una prossima volta quest'ultimo, o chi per lui (chi l'ha detto che il bambino o comunque il "giocatore" dovrà essere per sempre lo stesso?) potrebbe benissimo immaginarsi una storia del tutto differente, magari privilegiando per esempio il mondo medievale, un po' sottoutilizzato in questo primo episodio.

Oltretutto sarebbe un po' un controsenso dare ancora allo stesso personaggio questo onore, investendolo così paradossalmente della carica di eroe "ufficiale" del mondo Lego quando in realtà il film di cui si è trovato a essere il protagonista afferma un messaggio contrario che più chiaro non potrebbe essere. Non c'è nessuna profezia, nessun prescelto: nel mondo Lego dalle infinite possibilità chiunque può essere un eroe, anche un pupazzetto che fa una cosa semplice e rassicurante come costruire un divano a castello per guardare la televisione insieme ai suoi amici.

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