The LEGO Movie, la recensione
Torna il miglior umorismo USA che si possa vedere al cinema, ma di nuovo Lord & Miller sembrano iniziare benissimo e lentamente perdere le fila del racconto...
La carriera e il lavoro di Phil Lord e Christopher Miller sono emblematici di molte cose che stanno accadendo al cinema contemporaneo americano.
Il film dei Lego è, ovviamente, un lunghissimo spot (in cui i Lego sono il simbolo della vittoria della creatività sulla standardizzazione), come 21 Jump Street era un'operazione commerciale tesa a sfruttare il richiamo del titolo della serie, quella categoria di film solitamente indicati come il termine della creatività. Eppure in entrambi i casi Lord e Miller hanno saputo spingersi al di là dell'evidenza per trovare nelle pieghe un cinema anarchico, diverso, pieno di invenzioni e in nessun modo ripiegato su una mancanza di idee. L'esigenza commerciale di avere titoli o brand di richiamo, dimostrano Lord e Miller, non ha niente a che vedere con la mancanza di idee, solo l'incapacità degli sceneggiatori può averlo.
Il protagonista vive una distopia allucinante, una dai toni dorati, piena di sole e risate ma dall'intima tristezza. La sua vita nella città di Lego, sola, disumana eppure forzatamente felice è contaminata di regole e manuali di istruzione, simbolo stesso dell'annullamento umano (poi nel finale saranno l'arma della salvezza, ma lasciamo stare...). In questo inizio tutto ciò che è mainstream nella nostra realtà (musica pop in stile Katy Perry, programmi televisivi standardizzati ecc. ecc.) ha la forma di una dolce imposizione dittatoriale, è esplicitamente distrazione per le masse e quel che viene messo in questione è esattamente il principio alla base della Lego, cioè fare quel che ti viene detto di fare. La creazione divergente diventa la metafora del non adeguarsi a quel che la società si aspetta che tu sia o faccia, invito a non fidarsi assolutamente di ciò che piace a tutti, l'opposto di quel che solitamente il cinema per l'infanzia propone (fare amicizia, integrarsi, conformarsi alle regole di buona forma, andare incontro al prossimo, rispettare regole e tradizioni).
Ancora di più l'anarchismo che fa da spina dorsale a tutta questa prima parte si esplicita in una storia che mette in cattiva luce ogni forma di ordine costituito, in primis come si conviene la polizia.
Il lento spegnersi della forza propulsiva e anarchica del film però non leva che di nuovo Lord e Miller siano riusciti a mettere in scena la comicità migliore al momento. The Lego Movie è un tripudio di gag esilaranti e mai ripetitive, fondate non solo sul dialogo ma anche sul movimento rapido (già visto in Piovono polpette), come se riuscissero a non appoggiarsi a nulla di già visto e sentito per regalare forme di umorismo nuove con un ritmo, una costanza e una diversità impressionanti.
In realtà è solo un'impressione ovviamente, ci sono diverse ispirazioni la più grande delle quali è Panico al villaggio (quello però, come tutti i prodotti europei, era un vero delirio folle) seguita dalla grande sequenza iniziale di Toy Story 3, tutte rese digeribili da un'inedita forma d'animazione per il 50% digitale (come ci si aspetterebbe) ma anche per l'altro 50% in stop motion con veri pezzi Lego, che opera quell'ancoraggio alla realtà di cui parla spesso la Aardman, ovvero mostrare il pezzo di plastica, il materiale del personaggio, in un certo senso il suo corpo (in questo caso poi la parte geniale è che, come nei giochi con la Lego, spesso sembrano ritornare i medesimi pezzi, come se non ne avessero abbastanza compaiono di continuo e fuori contesto gli squali).
Il problema allora è il ritmo che al procedere del film cala sempre di più. Se si deve riconoscere un vero difetto The Lego Movie infatti è di morire lentamente, incapace di raccontare la sua trama (che ha anche un bel colpo di scena) con la necessaria efficacia e, come già capitava al finale di Piovono polpette, sempre più sorretto dalle sole gag, più forti di qualsiasi concatenazione di eventi o andamento drammaturgico.