Legion 1×04 “Chapter 4”: la recensione

Mentre la mancanza di punti di riferimento diventa un marchio dello show, Legion rimane una delle serie più interessanti in onda

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Spoiler Alert
Illustri predecessori a parte, erano stati gli X-Men di Bryan Singer, nell'ormai lontano 2000, a dare il calcio d'inizio al filone dei supereroi che ancora oggi domina la programmazione sul grande e piccolo schermo. Ed è singolare che, tra lo scorso anno e l'inizio di questo, da quello stesso Big Bang siano stati originati tre diversi prodotti che, a vario titolo e a vario livello, si pongono con un certo revisionismo di facciata rispetto al genere cui appartengono. Si tratta ovviamente di Deadpool, Logan e dello stesso Legion. Quest'ultimo, benché non possa aspirare allo stesso impatto mediatico dei primi due, non si sottrae alla sfida e anzi, rilancia con una certa sfacciataggine la sua volontà di andare "oltre".

Al quarto episodio, Legion è ancora una scommessa. Dove la maggior parte delle serie a questo punto lascia ampio spazio a considerazioni degli spettatori, la serie di Noah Hawley non ridimensiona né stile né aspirazioni, convogliando sempre maggiore energia sugli elementi stilistici che finora l'hanno caratterizzata. Questo ne fa un prodotto difficile, una storia divisa tra empatia e paura, rifacendosi alla distinzione operata da Oliver nella cold open della puntata. Sensazioni, questo è tutto ciò che avremo, dato che per il resto è difficile trarre uno schema del tutto coerente dalla mole di piani astrali, concreti e temporali che si incastrano l'uno nell'altro.

Una particolarità dell'episodio risiede nel fatto che, almeno per la prima metà, David è il motore degli eventi, ma è quasi assente dalla scena. Seguiamo infatti Syd, Ptonomy e Kerry, una mutante che divide in modi non del tutto chiari il corpo con Cary. Il gruppo è alla ricerca di risposte sul passato di David e, non potendo fare del tutto affidamento ai suoi ricordi, così manipolabili, così soggetti a una simbologia che riduce concetti complessi a elementi più normali (un cane, ad esempio), dovranno mettersi in viaggio. Il loro cammino li conduce dal dr. Poole, che aveva in cura David prima della Clockworks.

Se dovessimo riassumere con un'immagine astratta ciò che accade – e lo facciamo perché altrimenti non se ne esce – David non riesce a reggere più piani sovrapposti nella propria mente. La struttura traballante dei ricordi precipita, appiattendo, uniformando, sovrapponendo informazioni e personaggi. Ne risulta una confusione di ruoli che è anche uno degli elementi ricorrenti dell'episodio. Kerry e Cary, ma anche Lenny e Benny, e infine Syd e The Eye. C'è un forte senso del grottesco nell'incontro tra David e Oliver, ma anche una gravitas che lo show riesce a sostenere (e quanto è difficile, con queste pretese) nel momento d'azione finale contro la Division.

Legion rifugge la classica narrazione lineare, e a questo punto non ci aspettiamo altro fino al season finale. Rimane un grande prologo che scolpisce a forza di ricordi taglienti il "parassita" che domina nella mente di David e che di volta in volta assume diverse fattezze. Tra empatia e paura, il personaggio di David oscilla tra un cammino di formazione e uno di perdizione (gli stessi dei due racconti iniziali), ed è difficile immaginare verso quale percorso verrà spinto dalla ricerca di sé.

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