The Legend Of Tarzan, la recensione

The Legend of Tarzan di David Yates ci regala un Tarzan depresso cronico, congelato da terribili sensi di colpa

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Da Harry Potter a John Clayton III.

Dal mago di Hogwarts uscito dalla penna di J.K. Rowling al Signore della Giungla creato in letteratura nei primi del '900 da Edgar Rice Burroughs.

David Yates passa dalle bacchette alle liane per questo nuovo The Legend Of Tarzan, kolossal Warner concentrato nel bilanciare l'intimismo del Greystoke - La Leggenda Di Tarzan, Il Signore Delle Scimmie (1984) di Hugh Hudson con la spettacolarità del cartoon Disney del 1999 intitolato semplicemente Tarzan.

Prima di Animali Fantastici E Dove Trovarli (2016), il regista inglese degli ultimi quattro Harry Potter ci invita a immergerci dentro un'avventura tutta segnata dalla malinconica prova alla Frankenstein di Karloff di Alexander Skarsgård, qui impegnato nel regalarci un John Clayton III/Lord Greystoke/Tarzan sempre sull'orlo della depressione, convinto di non possedere alcuna qualità morale, consumato dal senso di colpa e quindi poco efficace quando c'è da cacciare quel famoso urlo battendosi i pugni sul petto.
Dopo essere stato convinto a lasciare l'Inghilterra di fine '800 per tornare in un Congo mezzo dei belgi e mezzo degli inglesi, John Clayton III rimette piede rabbuiato in quell'Africa di un passato che si svelerà davanti ai nostri occhi grazie a tanti flashback a svelamento troppo spesso fastidiosamente in grado di interrompere del tutto il flusso emotivo legato delle azioni ambientate nel tempo presente.

Partirà un'avventura più pesante che avvincente come l'umore di un Tarzan che non diverte pure quando prova a fare il battutaro davanti agli occhi costantemente strabuzzati di Samuel L. Jackson, sidekick del nostro eroe troppo vecchio (ha 68 anni) per partecipare a un action adventure senza avere il fiatone.

Jane? C'è ed fiera, impertinente e con la lingua fin troppo lunga di una Margot Robbie forse già troppo in modalità Suicide Squad. E' chiaro che la buontempona della coppia è lei mentre Christoph Waltz torna in modalità insopportabile alla Spectre con l'unica soddisfazione rappresentata dal fatto che un personaggio principale del film passa tutta la pellicola ad insultarlo (all'inizio la cosa è quasi esaltante, poi stanca).

Tantissima cgi (Yates non ha optato per la motion capture) non proprio sopraffina per i Mangani, scimmie immaginarie create da Burroughs qui tutte ricostruite al computer e per questo un po' troppo staccate dall'ambiente che le circonda.

È un nuovo Tarzan politicamente corretto, con un protagonista principale sbagliato, dalle buone intenzioni ma così civilizzato e demagogicamente corroso dal senso di colpa (l'Occidente è luogo sterile; in Africa c'è vita e allegria) da rischiare di non rappresentare quel blockbuster estivo esplosivo che forse la Warner immaginava o voleva immaginare. Anche il 3D non è che sia il massimo.
E poi... Il Libro Della Giungla di Jon Favreau è mille volte più pauroso, sexy, ambiguo e ammaliante per quanto riguarda la rappresentazione di un mondo animale che se vuole ci mangia in un boccone.
Film accettabile ma privo di magia.
Nonostante David Yates alla regia.

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