Leaving Neverland e la realtà che raccontano cinema e televisione

Il documentario su due uomini che accusano Michael Jackson di molestie, Leaving Neverland, ci spinge a prendere posizione a partire dalle sue informazioni

Critico e giornalista cinematografico


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Andrà in onda su Nove, il canale della famiglia Discovery, il 19 e 20 Marzo Leaving Neverland, il documentario centrato sui due uomini che raccontano di aver subito ripetutamente molestie sessuali da parte di Michael Jackson. È una produzione HBO dalla durata eccezionale di 4 ore e ha generato grandi discussioni e alcune decisioni da parte di emittenti televisive e radiofoniche che rivedono la loro posizione su Jackson.

Quello che sta accadendo riguardo la sua memoria è uno snodo importante dei nostri anni, in cui le conseguenze di una cattiva reputazione online e la mobilitazione degli utenti (che poi sono ascoltatori, spettatori e clienti) genera una grande paura nelle aziende, paura da cui discendono atteggiamenti e decisioni impulsive, eccezionali e che una volta probabilmente o non sarebbero arrivate o sarebbero arrivate in ritardo. Alle volte queste decisioni sono riconoscimenti a lungo auspicati, alle volte sono conquiste civili che in precedenza non erano arrivate per via di altre fobie (quelle che il cambiamento non venga recepito dalle persone) e altre volte ancora sono misure precauzionali che vanno contro ogni buon senso.

È la stessa mescolanza di necessarie prese di posizione, forti condanne e decisioni più discutibili che ha costellato lo scenario mediatico (più che altro) statunitense nell’ultimo anno e mezzo, dall’emergere delle accuse ad Harvey Weinstein. Qualunque spettatore di buon senso di fronte a Leaving Neverland può comprendere di non essere di fronte al racconto dei fatti per come si sono svolti ma semmai di un unico punto di vista su di essi. Qualunque spettatore che inoltre conosca il cinema e l’audiovisivo, che non scappi davanti all’arrivo del treno e che veda molti film o serie tv, ha anche la consapevolezza che le immagini sono la maniera migliore per indagare un punto di vista e una visione del mondo ma anche la meno affidabile in assoluto e la più menzognera quando si tratta di conoscere la realtà dei fatti. Un film come un documentario non racconta mai e in nessun caso la verità, il montaggio è l’espediente più ingannevole che possa esistere e così il concetto di inquadratura (fatta per usare luci, musica e composizione per comunicare qualcosa che influenza il contenuto dell’immagine). Un documentario è un punto di vista. Alle volte i punti di vista cambiano il mondo, in altri casi no.

Leaving Neverland è una lunga deposizione dell’accusa, filmata con le tecniche del racconto e non vuole essere di più. Dal punto di vista di chi l’ha realizzato (Dan Reed) è una storia clamorosa: due ex bambini amici di Michael Jackson, le cui famiglie erano amiche di Michael Jackson e che hanno passato anni e anni a nella mega residenza di Neverland in sua compagnia, per la prima volta raccontano pubblicamente e per esteso (con grandissima dovizia di dettagli) le molestie subite, come siano arrivate, come fossero selezionati e che cosa queste molestie abbiano causato nel loro sviluppo. È un racconto molto interessante (per quanto lunghissimo e molto prolisso, che avrebbe beneficiato da almeno un’ora di tagli) sul mondo dello spettacolo degli anni ‘90 (uno dei due era diventato un famosissimo coreografo), sul culto della celebrità e di un’epoca e uno star system che non esistono più. Leaving Neverland è un buon documentario, decisamente troppo lungo (dovrebbe durare almeno un’ora in meno, un'ora scelta levando i molti dettagli superflui, le ricostruzioni superflue e i continui rimandi alla vita privatissima dei coinvolti), che organizza benissimo le diverse voci su un racconto risalente a più di 20 anni fa.

Non è mai stata intenzione di Dan Reed avere il parere del Jackson Estate (la fondazione che cura gli interessi suoi e della famiglia) perché non è un documentario d’inchiesta, cioè non vuole arrivare alla verità, e per la stessa ragione non è mai stata sua intenzione avere delle prove. Un documentario è un punto di vista e più è specifico, dettagliato e attento ad una piccola porzione di mondo, più di solito riesce bene. Leaving Neverland è la storia di due persone, non del caso Jackson.
Il problema però è che dopo 4 ore di racconti in grandissimo dettaglio con tanto di materiale fotografico e video di repertorio (della vita con Jackson di quelle famiglie, non delle molestie ovviamente), è molto complicato non farsi un’opinione, cioè è complicato non essere influenzati né a favore né contro i protagonisti.

Dopo 4 ore in cui vengono ricostruite conversazioni, precise successioni di eventi (con data e orari!), in cui le storie sono raccontate da punti di vista diversi e in cui esce un ritratto molto chiaro e coerente di come Michael Jackson molestasse serialmente, e sempre con le medesime tecniche, molti bambini, è complicato non schierarsi pro o contro. Ma lo stesso le storie di Leaving Neverland non possono essere accettate, perché sono prive di prove, sono solo racconti, ragione per la quale importano ma non condizionano. Che il documentario faccia raccontare la loro storia (cosa buona e giusta) e che uno dei due sia proprio colui che all’epoca delle prime accuse scagionò Jackson (!) è la miglior caratteristica di quest’impresa. Quella peggiore è come ci induce a respingere o accettare la ricostruzione che viene fatta quando in realtà l’unica possibile reazione è di considerarla senza farsene influenzare.

La Jackson Estate ovviamente si è mossa e non solo ha duramente criticato l’operazione (che era facile) ma sta lavorando per dare la sua versione dei fatti, ad esempio raccontando che Wade Robson (uno dei due accusatori, il coreografo) recentemente è stato tenuto fuori da uno spettacolo del Cirque du Soleil dedicato a Michael Jackson, ha cercato di far pubblicare un suo libro sulla storia senza successo e citato l’Estate in giudizio vedendosi respingere ogni accusa. Solo poi è arrivato questo documentario. Come è stato fatto rimarcare (ma lo racconta anche il documentario) che Michael Jackson è stato processato due volte per accuse di questo tipo (nel 1993 e nel 2005) e per due volte è stato dichiarato innocente, una con l’aiuto di uno degli accusati, che ora spiega di averlo fatto perché aveva un vero affetto per lui, e un’altra senza.

Non c’è bisogno di finire dall'altra parte e accusare Wade Robson e James Safechuck di andare in cerca di soldi (quello è il lavoro della Jackson Estate) ma non è possibile davvero in anni come questi, in cui siamo circondati da audiovisivo, in cui il video è ovunque e tutti noi ne conosciamo le capacità mendaci e di manipolazione, considerare un documentario come una prova sufficiente ad emettere un giudizio. Altrove, da altre parti e con altre competenze, Leaving Neverland potrebbe portare ad altri processi e magari a condanne postume o riconoscimenti di verità mai considerate tali, ma questo accadrà con tutti quegli strumenti che le democrazie occidentali hanno affinato lungo centinaia di anni, cioè legittima difesa e onere della prova. Non tramite un documentario.

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