Leaving Neverland e la realtà che raccontano cinema e televisione
Il documentario su due uomini che accusano Michael Jackson di molestie, Leaving Neverland, ci spinge a prendere posizione a partire dalle sue informazioni
Quello che sta accadendo riguardo la sua memoria è uno snodo importante dei nostri anni, in cui le conseguenze di una cattiva reputazione online e la mobilitazione degli utenti (che poi sono ascoltatori, spettatori e clienti) genera una grande paura nelle aziende, paura da cui discendono atteggiamenti e decisioni impulsive, eccezionali e che una volta probabilmente o non sarebbero arrivate o sarebbero arrivate in ritardo. Alle volte queste decisioni sono riconoscimenti a lungo auspicati, alle volte sono conquiste civili che in precedenza non erano arrivate per via di altre fobie (quelle che il cambiamento non venga recepito dalle persone) e altre volte ancora sono misure precauzionali che vanno contro ogni buon senso.
Leaving Neverland è una lunga deposizione dell’accusa, filmata con le tecniche del racconto e non vuole essere di più. Dal punto di vista di chi l’ha realizzato (Dan Reed) è una storia clamorosa: due ex bambini amici di Michael Jackson, le cui famiglie erano amiche di Michael Jackson e che hanno passato anni e anni a nella mega residenza di Neverland in sua compagnia, per la prima volta raccontano pubblicamente e per esteso (con grandissima dovizia di dettagli) le molestie subite, come siano arrivate, come fossero selezionati e che cosa queste molestie abbiano causato nel loro sviluppo. È un racconto molto interessante (per quanto lunghissimo e molto prolisso, che avrebbe beneficiato da almeno un’ora di tagli) sul mondo dello spettacolo degli anni ‘90 (uno dei due era diventato un famosissimo coreografo), sul culto della celebrità e di un’epoca e uno star system che non esistono più. Leaving Neverland è un buon documentario, decisamente troppo lungo (dovrebbe durare almeno un’ora in meno, un'ora scelta levando i molti dettagli superflui, le ricostruzioni superflue e i continui rimandi alla vita privatissima dei coinvolti), che organizza benissimo le diverse voci su un racconto risalente a più di 20 anni fa.
Il problema però è che dopo 4 ore di racconti in grandissimo dettaglio con tanto di materiale fotografico e video di repertorio (della vita con Jackson di quelle famiglie, non delle molestie ovviamente), è molto complicato non farsi un’opinione, cioè è complicato non essere influenzati né a favore né contro i protagonisti.
Dopo 4 ore in cui vengono ricostruite conversazioni, precise successioni di eventi (con data e orari!), in cui le storie sono raccontate da punti di vista diversi e in cui esce un ritratto molto chiaro e coerente di come Michael Jackson molestasse serialmente, e sempre con le medesime tecniche, molti bambini, è complicato non schierarsi pro o contro. Ma lo stesso le storie di Leaving Neverland non possono essere accettate, perché sono prive di prove, sono solo racconti, ragione per la quale importano ma non condizionano. Che il documentario faccia raccontare la loro storia (cosa buona e giusta) e che uno dei due sia proprio colui che all’epoca delle prime accuse scagionò Jackson (!) è la miglior caratteristica di quest’impresa. Quella peggiore è come ci induce a respingere o accettare la ricostruzione che viene fatta quando in realtà l’unica possibile reazione è di considerarla senza farsene influenzare.
La Jackson Estate ovviamente si è mossa e non solo ha duramente criticato l’operazione (che era facile) ma sta lavorando per dare la sua versione dei fatti, ad esempio raccontando che Wade Robson (uno dei due accusatori, il coreografo) recentemente è stato tenuto fuori da uno spettacolo del Cirque du Soleil dedicato a Michael Jackson, ha cercato di far pubblicare un suo libro sulla storia senza successo e citato l’Estate in giudizio vedendosi respingere ogni accusa. Solo poi è arrivato questo documentario. Come è stato fatto rimarcare (ma lo racconta anche il documentario) che Michael Jackson è stato processato due volte per accuse di questo tipo (nel 1993 e nel 2005) e per due volte è stato dichiarato innocente, una con l’aiuto di uno degli accusati, che ora spiega di averlo fatto perché aveva un vero affetto per lui, e un’altra senza.
Non c’è bisogno di finire dall'altra parte e accusare Wade Robson e James Safechuck di andare in cerca di soldi (quello è il lavoro della Jackson Estate) ma non è possibile davvero in anni come questi, in cui siamo circondati da audiovisivo, in cui il video è ovunque e tutti noi ne conosciamo le capacità mendaci e di manipolazione, considerare un documentario come una prova sufficiente ad emettere un giudizio. Altrove, da altre parti e con altre competenze, Leaving Neverland potrebbe portare ad altri processi e magari a condanne postume o riconoscimenti di verità mai considerate tali, ma questo accadrà con tutti quegli strumenti che le democrazie occidentali hanno affinato lungo centinaia di anni, cioè legittima difesa e onere della prova. Non tramite un documentario.