Le Retour, la recensione
Cinema balneare che si vergogna della sua essenza, Le Retour parla di adolescenti ma adotta il punto di vista dei genitori
La recensione di Le Retour, il film di Catherine Corsini in concorso al Festival di Cannes
In teoria Le Retour sarebbe un film di mare e adolescenti, dotato di tutte le figure stereotipiche del genere, cinema balneare di vacanze, spiagge, contrasti e amori, scoperte familiari e genitori che non capiscono i figli. Due ragazze francesi figlie di una donna di servizio per una famiglia abbiente passano le vacanze in Corsica, nello stesso villaggio di quella famiglia. Sono giovani, hanno caratteri diversi (una più precisa, l’altra scapestrata) fraternizzano con la figlia grande della famiglia presso la quale lavora la madre e faranno molti casini. Tutto a posto, se non fosse che su tutto questo aleggia lo spettro del peggior cinema genitoriale.
Le protagoniste scopriranno diverse identità lungo la storia, prima di tutto quella sessuale, poi quella familiare, con un po’ di agnizioni da film di Vanzina (cosa che non mai è un difetto se si parla di cinema balneare), e infine quella etnico culturale. Ma la scrittura è così debole che per rendere certe emozioni ha bisogno di ricorrere a soluzioni ed espedienti da quattro soldi e di scarso effetto, come far leggere ad una i pensieri dell’altra sul diario segreto, o l’autolesionismo come espressione di una tristezza. E anche quando per un attimo Le Retour sembra credere nella sua reale natura di teen movie, quando cioè le due sorelle vivono avventure separate nella stessa festa con tanto di dramma finale (rappresentando bene le spinte opposte adolescenziali: lo spleen e il desiderio, l’esaltazione e la rabbia), lo stesso Catherine Corsini riesce a chiudere con la temperanza e la misura di un genitore invece che con le esagerazioni da cuore oltre l’ostacolo dei figli. Unico possibile senso del suo posizionamento in concorso a Cannes può essere la ferma volontà di distruggerlo.