Ogni seconda stagione ha sempre un'incognita dolorosa al proprio interno, una vena di pericolo che la attraversa. In uno show come
Le Regole del Delitto Perfetto, le aspettative dopo una prima stagione intricata e narrativamente stratificata erano giustamente altissime; tanto alte da spingere gli autori a confezionare una nuova tranche di episodi che, se da un lato fa emergere l'immutata inventiva del team sceneggiatoriale, dall'altra tradisce una coerenza altalenante che grava come una spada di Damocle sulla serie ABC.
In Hi, I'm Philip i difetti della seconda stagione non restano nascosti dietro la solida psicologia dei personaggi, ma tornano inevitabilmente alla luce proprio laddove anche la coerenza emotiva viene meno e dove il mordente del pathos si annulla. Avevamo lasciato Oliver in uno stato di pericolo, dopo che il misterioso cugino segreto degli Hapstall, Philip, era penetrato in casa sua a seguito di uno sgamatisssimo hackeraggio ai propri danni. Nemmeno il tempo di tremare per la sorte del giovane informatico, ed eccolo ricomparire sulla soglia dell'appartamento di Annalise sano e salvo. Il che, in effetti, ha il merito di non appesantire ulteriormente un quadro narrativo già sovraccarico di elementi inutili.
Frank e Laurel continuano il loro amoroso battibeccare, senza portare però il pubblico a sviluppare un autentico attaccamento alla loro storia. Tecnicamente, li abbiamo visti insieme sullo schermo molto più a lungo di Eve e Annalise; eppure, mentre la coppia di donne è riuscita a colpire nel segno sin dalla sua prima apparizione, i due colombi rallentano il ritmo delle puntate senza creare un reale sollievo - e tantomeno empatia - nello spettatore. Stesso dicasi, in questo specifico episodio, per la coppia Oliver-Connor - finora la più credibile e interessante - e persino per Annalise e Nate. Il montaggio di amplessi sul finale è, in questo senso, l'emblema della seconda stagione di
Le Regole del Delitto Perfetto, almeno per quanto mostrato finora: è accattivante, sexy, ma non sappiamo bene come ci si sia arrivati. I personaggi si avvinghiano quando, a ben guardare, avrebbero tutt'altro a cui pensare.
Anche Michaela e Caleb riescono finalmente a concludere, e c'è da dire che il sesso sembra far bene al fascinoso accusato, tanto da spingerlo a fare la prima cosa davvero saggia dall'inizio della propria parabola giudiziaria: mostrare alla ragazza una pistola nascosta in casa - presumibilmente - da Catherine, indicandola come possibile colpevole dell'omicidio dei genitori. Il che darebbe ragione a quel mostro di simpatia di Emily Sinclair, che nel proprio accanimento ossessivo contro Annalise e i suoi protetti non manca di farci dimenticare, episodio dopo episodio, che stiamo comunque facendo il tifo per i cattivi.
Ma bene e male sono concetti che non appartengono a
Le Regole del Delitto Perfetto, o che quantomeno vengono in essa declinati secondo un criterio di distorsione che solletica il lato oscuro del pubblico, smorzandone il senso di colpa a suon di relazioni sentimentali. Ed è questo lo scopo che la serie persegue, ma che solo in presenza di Emily Sinclair sembra davvero inequivocabile; il resto è immerso ormai in un relativismo che si fa incertezza intollerabile quando finisce per ricadere persino su un personaggio come Nate, finora al di sopra dei giochi d'inganni tra i protagonisti. Eppure, il suo riavvicinamento ad Annalise lascia in bocca un sapore ben strano: è sincero o anche lui sta cercando la propria vendetta? Aspettiamo pazientemente di avere una risposta, in un orizzonte che appare, a oggi, sempre più confuso.