Le pupille, la recensione
La storia Natale meno consueta di quest'anno è quella di Le pupille, con orfane in un collegio in lotta intellettuale contro una suora
La recensione di Le pupille, mediometraggio di Alice Rohrwacher disponibile su Disney+ dal 15 dicembre
Le pupille sono le orfane che non avendo famiglia rimangono nel collegio nei giorni di Natale, loro sono sia protagoniste che coro. Con un’idea di eccezionale semplicità ma anche grandissima capacità direttiva, tutte insieme cantano l’inizio e la fine della lettera che narra le vicende (e la melodia è scelta benissimo, in pieno accordo con lo stile visivo), una di loro in particolare Serafina è al centro di tutto. Colpevole di aver causato uno spostamento della frequenza della radio (da un radiogiornale alla musica di Baciami piccina) che ha portato le bambine a ballare su strofe piene di peccato, etichettata come “cattiva” da suor Fioralba, avrà un ruolo nella questione di una torta regalata da una ricca signora in cambio di orazioni per il suo amore perduto.
Inoltre, dimostrando una capacità narrativa di cui gli ultimi due film non fanno sfoggio, Le pupille è capace con pochissimo di creare anche uno strano momento, in cui il taglio di una torta è al tempo stesso sia fonte di suspense (e ci si trova a chiedersi da dove venga tutta questa tensione), sia un passaggio cruciale di una battaglia intellettuale tra una suora e una bambina. Non è difficile leggere negli esiti della trama la vittoria del collettivismo sul potere, un’adorazione per le classi più umili e il loro modo di approcciarsi alla vita, oltre all’idea che la risposta sia sempre nel rapporto con i propri pari e nella condivisione di quello che si possiede, non importa quanto. C’è da essere certi che Goffredo Fofi sia rimasto compiaciuto di questa lettera, di certo, al di là di tutto ciò, il film che ne ha tratto Alice Rohrwacher è un gioiello capace di superare a destra le sue stesse intenzioni ed essere un film per ragazzi, per la famiglia e per gli adulti di raffinatissima ispirazione (apparentemente vecchio nella concezione ma in realtà eterno), senza rinunciare all’armamentario del cinema d’autore ma anzi facendolo lavorare per tutti.