Le lycéen, la recensione

Racconto di un sentimento malinconico come l'inverno, Le lycéen non regge le sue lunghe due ore di durata complessiva

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La nostra recensione di Le lycéen, presentato al Torino Film Festival 2022

Dalla primissima scena, Le lycéen chiede un notevole sforzo allo spettatore. Gli sbatte in faccia l'intimità e il dramma che stanno vivendo i protagonisti e gli chiede di accettarlo, senza dare gli adeguati appigli e background per comprenderlo. In questo modo, più cerca (forzatamente) di avvicinarlo a loro, più nella realtà lo distanzia, facendolo perdere nella narrazione. Il liceale del titolo è Lucas (Paul Kircher) diciassettenne che si trova ad affrontare un grave lutto: la morte del padre in seguito a un incidente stradale. Per non rimanere solo al collegio, decide di andare dal fratello maggiore (Vincent Lacoste) a Parigi, dove scoprirà una nuova vita e nuove persone.

Tutta la storia di Le Lyceen si ambienta in un freddo inverno che si tramuta immediatamente in uno specchio dell'interiorità dei personaggi. Al regista, Christophe Honoré, interessa infatti soprattutto la messa in scena di un sentimento mutevole, che dal dolore per la prematura scomparsa di un genitore, più vicino alla rassegnata malinconia che allo strazio, arriva all'incertezza nell'essere di fronte a una realtà diversa. Passando dalla provincia alla metropoli, Lucas si ritrova inizialmente confuso e sperduto, alla ricerca di se stesso. La macchina da presa si sofferma spesso sul suo volto, nella resa delle sue emozioni, in uno scavo psicologico che richiama il tocco di Kechiche. A differenza però dell'Adele del film Palma d'oro, Lucas, non appena scoperto il desiderio omossessuale, si pone da subito come attivo, corpo piccolo e gracile ma dotato di grande energia, che si scontra con l'inettitudine del fratello e del proprio amante quasi trentenne. Seguendo questa direzione, il film sembra trovare la propria strada, ma il percorso risulta comunque molto accidentato.

Il modo in cui questo racconto esistenziale si protrae per circa 2 ora senza il supporto di un'adeguato intreccio, per come appunto il suo senso ci è imposto e non suggerito, lo rende infatti alla lunga un po' faticoso. Soprattutto stride come, proprio per narrare qualcosa difficile da spiegare a parole, la storia ricorra molto all'elemento verbale. Il protagonista infatti si confessa e descrive se stesso parlando direttamente in macchina davanti a sfondo nero, come se stesse recitando il proprio diario o una lettera a non sappiamo chi, con un chiaro omaggio a Truffaut. Così il film eccede in un'approccio esplicativo, che ne toglie parte del fascino.

A questo si aggiunge inoltre una componente molto importante nel cinema di Honoré, ovvero quella musicale. Come nel precedente L'hotel degli amori smarriti, anche in Le lycéen cantare o ascoltare un brano diventa occasione di (auto)riflessione o riavvicinamento. Sono infatti questi momenti a dirci molto di più sui personaggi di quanto facciano quelli in cui dominano le parole. Nella dimensione extradiegetica, il lavoro non è invece altrettanto fine: la colonna sonora diventa esplicita sottolineatura e enfasi dei passaggi chiave, facile veicolo per la commozione. Così, se per lungo tempo il film racconta un sentimento etereo, talvolta indecifrabile, nel finale si lascia troppo andare a momenti lacrimosi. E bisogna essere Xavier Dolan per ricorrere a filmini famigliari senza risultare posticci!

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