Le Leggi del Desiderio, la recensione
Come un pasto già masticato Le leggi del desiderio non riesce ad arrivare dove ambirebbe per mancanza di sapore nei soliti ingredienti
Come già nei film precedenti la voglia di Silvio Muccino (anche regista e sceneggiatore del film, ancora assieme a Carla Vangelista) di andare alla radice, acchiappare lo spettatore per i capelli e trascinarlo in un vortice passionale ed estremo che lo metta a contatto con la parte più stordente dei propri sentimenti, si risolve in passioni dichiarate più che vissute.
È questo il passaggio centrale di tutta la storia, da uomo di spettacolo algido e mostruosamente pieno di certezze dell'inizio (il film inizia sul palco) ad essere umano reale e quindi fragile, ed è gestito in maniera così maldestra da essere inaccettabile. Il cambiamento e la possibilità di essere salvati da un'altra persona sono apertamente lo snodo centrale della storia ma non solo la prevedibilità delle svolte (che non ha mai nuociuto ad un buon film) quanto il fatto che esse non riescano ad avere un senso reale, perchè scritte assecondando ciò che già conosciamo, con banalità e senza sorpresa, ammazzano qualsiasi velleità. Muccino rimastica situazioni e costumi così ampiamente masticati da essere ormai privi di sapore.
Silvio Muccino sembra voler dire qualcosa di originale attraverso il massimo del già detto. Invece che creare un mood peculiare, all'interno del quale muovere una storia magari anche usuale (va ripetuto: non c'è nulla di male in questo), nel suo film utilizza gli strumenti di messa in scena per scatenare reazioni dirette, invece che costruire un ambiente da abitare pretende che assemblare solo la sua parte più in vista (un pianto, una scena tenera, un dialogo sentito) basti, invece che scrivere una poesia compone solo le essenziali rime baciate cuore/amore. Se non bastasse la storia principale lo dimostrano le peripezie comprimarie tra uffici da fiction italiana, prelati scandalizzati, abbigliamenti "punk" inaccettabili nel cinema moderno, hacker con il cappuccio che vivono in stanze buie e successi editoriali così subitanei e mal mostrati da essere implausibili.