Le Deuxieme Acte, la recensione | Cannes 77
Un film dentro un film dentro un film, fino a perdersi. Le Deuxieme Acte ha le idee migliori ma non sempre sa come chiuderle
La recensione di Le Deuxieme Acte di Quentin Dupieux, film di apertura di Cannes
Lo sa anche Dupieux che alla fine di questo film iniziato con i due sopracitati pianisequenza, rifà quel percorso ma inquadrando i binari del carrello. Come a celebrarlo. Cinema che parla di cinema, che mostra i dispositivi di messa in scena, sublima le paure dell’industria e prende in giro gli attori, materia perfetta per l’apertura di Cannes anche se poi, dopo aver iniziato a raccontare di questi quattro attori (che diventano cinque) si perde. È un cunicolo di film dentro il film, da subito gli attori sanno di essere tali e un incidente con il dialogo in cui uno dei due svela la sua omofobia introduce il fatto che siano terrorizzati dalla cancel culture. Sanno cosa va detto ma non tutti lo pensano davvero. Quando crediamo di aver capito a che livello siamo (cioè il film che vediamo è finto e gli attori sono persone diverse), scopriamo che anche quello è un altro film e gli attori hanno caratteri ancora diversi. Nel pieno stile di Dupieux l’obiettivo non è la logica ma sorprendere e confondere, giocando con regole che ha appena creato invece di sfruttare quelle di altri film.
Nelle parti migliori di Le Deuxieme Acte ci sono moltissime suggestioni (perché questi attori di un film scritto e diretto da un’intelligenza artificiale quando sbagliano vanno avanti come non potessero rifare le scene, come fossero su un palco teatrale?), nelle peggiori insegue farfalle, cerca di arrivare a un punto non giungendoci mai e girando intorno ad alcune idee, come per l’appunto l’intelligenza artificiale, la comparsa incapace e via dicendo. Non che si voglia cercare davvero un senso nei film di Dupieux (sarebbe troppo anche per un critico!) ma è chiaro che nei suoi film e specialmente in questo che con Yannick compone un dittico, ci sono stimoli e invenzioni sul rapporto tra spettatori, attori e creatori, che sono tutt’altro che scemi (nonostante la forma voglia essere scema). Eppure alla fine ci si ritrova con quella che è più una forma di buon e rispettabile escapismo che il divertimento intellettuale che pensa di essere.
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