Le cronache di Narnia: Il leone, la strega e l’armadio
Quattro ragazzini si ritrovano in un mondo fantastico, in cui devono aiutare il potente leone Aslan a sconfiggere una strega malvagia. Un adattamento insipido e insoddisfacente per chiunque abbia più di cinque anni…
Cosa potevo sperare quindi per questo film? Un po’ di coraggio, che dall’autore di Shrek non sarebbe dovuto mancare. E la realizzazione di un mondo meraviglioso e capace di far sognare.
Ma il risultato è francamente demoralizzante. Sembra di essere tornati ai fantasy pre ISDA, in cui non si aveva mai l’impressione che il mondo descritto sullo schermo avesse una parvenza di realtà. Siamo, insomma, dalle parti di Conan (che comunque rimane un gran film, almeno per quanto riguarda il primo episodio) e soprattutto di Legend, con fauni dalle orecchie deliranti e folletti ridicoli. Non aiuta sicuramente una strega stupida e con ben poco fascino (ma forse l’idea era che dovesse essere proprio glaciale, per non turbare le giovani menti degli spettatori), anche per un’interpretazione di Tilda Swinton (che ha decisamente fatto di meglio nella sua vita) poco convincente (e poco convinta).
Quello che è chiaro è che Adamson non è assolutamente in grado di reggere un film del genere. In alcune scene, appare lapalissiano che si tratta di un regista non abituato a lavorare con attori in carne ed ossa (in alcune scene di massa, gli interpreti sembrano andare per conto loro). Così come alcune inquadrature (e certi momenti al montaggio, presumibilmente frutto di un lavoro di riprese sbagliato) sono imbarazzanti.
Soprattutto, non si vede assolutamente il budget dichiarato (180 milioni di dollari). Considerando lo stipendio di Jackson e socie, questo film sarebbe costato praticamente lo stesso di King Kong. Ma dove? Come? Perché? Veramente servivano tutti questi soldi per degli effetti speciali altalenanti (certi sfondi e sostituzioni digitali sono francamente risibili) e per un’unica scena di battaglia (anche se discreta?).
Certo, il lavoro sul leone Aslan è notevolissimo. Ma qui ci si mette l’edizione italiana. Che decide di affidare il doppiaggio a Omar Sharif, il quale fa un’imitazione zoppicante di Giovanni Paolo II e che ovviamente provoca l’ilarità della sala.
Né va molto meglio con i giovani protagonisti. Che non sono certo scandalosi, ma neanche dei cloni di Haley Joel Osment. Peraltro, se il regista e gli sceneggiatori decidono di mostrare i loro contrasti in maniera elementare e addirittura di mostrarli in battaglia di fronte ad esseri tre volte più grandi, non si può che compatire il loro lavoro.