Le Avventure di Tintin: il Segreto dell'Unicorno - la recensione

Un ispirato Steven Spielberg, anziché strafare, porta con successo sul grande schermo un suo sogno nel cassetto. Evitando i pericoli della Uncanny Valley...

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Quando un regista gira un suo sogno nel cassetto, spesso finisce per strafare.

Erano trent'anni che Steven Spielberg cercava di portare sul grande schermo le avventure di Tintin, e il rischio che l'ambizioso adattamento dei fumetti di Hergé finisse per rivelarsi una delusione c'era, non solo per le aspettative che si erano create ma anche per la scelta di realizzarlo in animazione 3D attraverso il performance capture, una tecnica che Robert Zemeckis ha contribuito a far detestare ai più. Ma se da una parte c'era scetticismo, dall'altra c'erano i rassicuranti nomi di cui Spielberg si è circondato: dal produttore Peter Jackson, che il suo sogno nel cassetto lo ha realizzato girando King Kong appena ne ha avuto l'occasione, agli apprezzati sceneggiatori Stephen Moffat, Edgar Wright e Joe Cornish, al trio di collaboratori storici dietro le quinte (Janusz Kaminski alla fotografia, Michael Kahn al montaggio e John Williams alla colonna sonora), per finire con la Weta Digital, forse l'unica compagnia di effetti visivi in grado di far dimenticare i pericoli della Uncanny Valley.

In realtà Le Avventure di Tintin: il Segreto dell'Unicorno si svincola molto rapidamente da inutili paragoni e dal peso delle aspettative, e sin dai divertenti titoli di testa (i riferimenti a Prova a Prendermi sono più nelle musiche che nella grafica) si rivela un film originale, fresco e vibrante, ricco di inventiva e realizzato con una cura maniacale del dettaglio (il meccanismo di chiusura della porta della nave, i continui giochi di specchi e vetri, il cammeo di Hergè e di quello che sembra essere lo stesso Spielberg) arricchito da una buona dose di sano umorismo (fate attenzione alle scene in secondo piano, in particolare durante il crollo della diga).

Ovviamente non si può non vedere un po' di Indiana Jones in Tintin (lo stesso regista ha ammesso di aver messo nella saga di Lucas un po' di quello che avrebbe messo in Tintin se fosse riuscito ad adattarlo all'epoca), ma qui non si tratta di un'operazione nostalgia (in stile Super 8, per intenderci): piuttosto, di un ritrovato entusiasmo nel riprendere la struttura del film d'avventura che Spielberg stesso ha contribuito a definire. E infatti è proprio nell'impronta registica che Tintin colpisce: piuttosto che cadere vittima dell'enorme libertà che la cinepresa virtuale può dare, Spielberg elabora un linguaggio visivo elegante e fluido (pochissimi gli stacchi di montaggio nelle sequenze d'azione più lunghe) che mette al servizio dei dialoghi brillanti prima (con momenti slapstick davvero divertenti) e dell'azione poi (e qui sono tre le sequenze memorabili: la battaglia dei vascelli, il volo in aereo e l'inseguimento nella città nordafricana). E nel farlo sembra divertirsi parecchio.

Il risultato è un film dal ritmo incalzante che solo nel climax finale, a sorpresa, rallenta (rimanendo tuttavia molto fedele allo spirito del fumetto originale). Una avventura ricca d'azione che, nonostante sia stata chiaramente confezionata per un pubblico di famiglie, non manca di indagare, per esempio, un tema come quello dell'alcoolismo.

Anche i più scettici rimarranno poi a bocca aperta nel vedere il livello di fotorealismo a cui è riuscita ad arrivare la Weta Digital pur presentando dei personaggi sintetici basati sui disegni originali di Hergé. Al di là delle suggestive ambientazioni e delle spettacolari scene d'azione, infatti, il lavoro degli artisti della Weta si fa apprezzare soprattutto per come sono stati trasferiti i movimenti di attori come Jamie Bell, Andy Serkis (il suo Capitano Haddock è irresistibile, in particolare l'accento scozzese in lingua originale), Daniel Craig, Simon Pegg e Nick Frost nei vari protagonisti digitali. Il volto di Tintin e di Haddock sono tra i più espressivi mai visti finora in un personaggio CGI: probabilmente in questo senso la chiave del successo è stata proprio il propendere verso una sintesi dei disegni originali nel design dei personaggi. Un design che strizza l'occhio al fumetto, inserito in un contesto estremamente cinematografico arricchito dalla brillante fotografia di Kaminski e dalle musiche coinvolgenti di John Williams. Il tutto girato con un 3D al servizio della storia, che non aggiunge nulla a livello espressivo ma permette una maggiore immersione non solo nelle scene d'azione ma anche nelle esotiche ambientazioni del film.

Le Avventure di Tintin: Il Segreto dell'Unicorno non delude, anzi, sorprende. E fa sperare che la promessa di un sequel diretto da Peter Jackson (la sceneggiatura è già pronta) venga mantenuta.

 
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