The Last Of Us 1x03, "Long Long Time": la recensione

La puntata 1x03 di The Last Of Us ambisce a qualificarsi nell'empireo dei grandi episodi delle serie tv americane

Critico e giornalista cinematografico


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Spoiler Alert

La recensione di "Long Long Time" l'episodio 1x03 della prima stagione di The Last Of Us, disponibile su Sky e in streaming su NOW

Che cos’è quest’episodio? E che cos’è quell’inizio?

Chiaramente siamo di fronte all’evoluzione del bottle episode. Quella cosa che aveva un senso quando le serie erano davvero un prodotto industriale e spesso si creava l’esigenza di puntate che staccassero un po’ dalla continuità della storia portata avanti, che fossero più economiche e magari confinate in un solo ambiente con un numero limitati di attori. È l’episodio di Pauli e Chris sperduti nella neve di I Soprano, è l’episodio della mosca nel laboratorio di Breaking Bad. Quel tipo di esigenze spesso ha dato origine a puntate particolari, fondate sulla scrittura in una maniera diversa e creativa. Oggi il bottle episode non ha più quel senso perché le serie non sono più prodotte in quella maniera, tuttavia spesso ci sono puntate che funzionano diversamente, che si prendono una pausa e vanno altrove. Questo è la puntata tre di The Last of Us. Almeno dopo i primi 15 minuti.

Nella prima parte infatti vediamo una tipica sequenza di gioco, Joel ed Ellie che esplorano un ambiente, una stazione abbandonata, in cerca di “cose”. La scenografia è perfetta, la replica esatta di quel mondo distrutto, così amaro e solitario come fosse il cadavere scheletrico del mondo che conoscevamo. Poi Ellie esplora per conto proprio, e senza che Joel lo sappia, uno scantinato nel quale ha un momento di confronto con un contaminato dai funghi che non può muoversi. Un momento leggerissimo. Ma c’è anche un flashback, indietro fino al momento in cui è scoppiata l’epidemia, e come già avevamo visto nella prima puntata, c’è un parallelo tra i cadaveri e quello che erano quando erano vivi. Tramite un vestito viene creato un ponte, una ellissi di venti anni. Oggi sono così, quelli che ieri erano così. Tutto funzionale alla storia che riempirà questa puntata, quella di qualcuno che invece non si è affidato agli uomini ma si è isolato dalla razza umana, l’ha disprezzata ed è sopravvissuto trovando forse qualcosa di bellissimo.

È la storia di Bill, un complottista, campagnolo e survivor, così abile nella costruzione e progettazione da riuscire, una volta trovata una cittadina collegata alla rete elettrica e già dotata di una recinzione, a crearsi un proprio Eden al riparo dai contaminati e dagli altri uomini. Nelle sue trappole un giorno cade un altro uomo, una persona che non ha cattive intenzioni e che Bill accoglie. Lì capiamo che nonostante forse fatichi ad accettarlo egli stesso, Bill è gay e nutre dei sentimenti. Quella che seguirà per il resto dell’episodio sarà la storia di Bill e dell’uomo con il quale passa i venti anni di epidemia in una gabbia dorata separata dal resto del mondo. Una storia d’amore omosessuale delicatissima, in cui finalmente vediamo Nick Offerman (che interpreta Bill) con tutti e due i piedi davvero fuori dal registro di commedia, che si svolge attraverso il tempo, in cui proprio il passare degli anni invece di lavorare contro i personaggi (come nel melodramma classico) ne accresce il sentimento e ci racconta l’unione. Lo stesso identico meccanismo attraverso il quale, lungo un anno, capiamo e comprendiamo i sentimenti tra Joel ed Ellie.

Questa è una maniera per Neil Druckmann di rimediare a un problema, in realtà. Quando nel 2013 uscì The Last Of Us, Bill era un complottista burbero con problemi nel passato e un trauma dovuto alla morte di Frank, una persona a lui cara morsa dagli infetti. Bill era già gay nel videogioco ma questo era solo suggerito alla lontana, si parlava di questo legame con Frank ed era suggerito che fosse molto stretto: “C'era una volta, qualcuno a cui tenevo davvero. Una persona... Qualcuno di cui mi prendevo cura. Ma in questo mondo quel genere di cazzate serve solo a una cosa: farti ammazzare”. Questa era una delle poche frasi da cui intuire che la maniera in cui Bill parlava di Frank non era proprio come si parla di un amico.

Erano dieci anni fa ed era il mondo dei videogiochi, storicamente molto più retrogrado di quello del cinema o della serialità premium. Nondimeno diverse erano state le critiche rivolte al gioco (e quindi a Druckmann) per la pavidità con la quale aveva detto e non detto la cosa, suggerita ma poi mai apertamente affermata. Il secondo capitolo di The Last Of Us avrebbe poi mostrato decisamente più coraggio, forse il maggiore mai visto nell’industria videoludica, quanto a rappresentazione del mondo omosessuale e di quello fluido e non binario. Lo stesso questo terzo episodio può essere letto sia come un bottle episode evoluto, sia come un momento in cui raccontare una bella storia, sia come un grande risarcimento per Bill, chiuso in un armadio nel videogioco e liberato e nobilitato da un grande amore nella serie. Di certo, al pari di San Junipero (episodio di Black Mirror) e altri episodi di grandi serie noti per il loro profondo impatto sentimentale, Long Long Time è destinata a rimanere come una delle grandi singole puntate della serialità americana.

Trovate tutte le notizie su The Last of Us nella nostra scheda.

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