The Last Of Us 1x01, "When You're Lost In The Darkness": la recensione

Con la puntata 1x01 la serie di The Last Of Us professa la sua fedeltà al videogioco e annuncia quali libertà si prenderà, la recensione

Critico e giornalista cinematografico


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The Last Of Us 1x01, "When You're Lost In The Darkness": la recensione

Dobbiamo necessariamente partire dall’inizio. Le parti realmente iconiche di The Last Of Us sono due: l’inizio e la fine. Scegliendo di attaccare la prima puntata diversamente e poi però riprendendo l’inizio del videogioco con una fedeltà che fa impressione, la serie inizia dichiarando cosa farà: seguirà il videogioco con una precisione fuori dal comune ma si riserverà anche il diritto di trovare, dentro quel mondo riproposto così fedelmente, qualcosa di suo, di autonomo e personale. La decisione migliore possibile che prende atto di un concetto cruciale, cioè che quella storia ha senso solo se raccontata in quella maniera, che non è il contenuto a creare quel risultato ma il contenuto unito alla forma.

L’attacco con una trasmissione televisiva del 1968 che spiega tutto quel che serve di sapere su funghi e spore per comprendere le proporzioni del disastro che arriverà, è una grande idea, uno spiegone in un punto in cui non ci aspettiamo uno spiegone e in un contesto così spiazzante da non sembrare mai tale. Abbiamo sbrigato la parte tecnica, ora possiamo iniziare. Ma c’è anche di più, c’è l’introduzione del tono. Quando in chiusura di quella parte viene detto: “Quindi che succede se un fungo del genere dovesse comparire?” e la risposta che chiude tutto è “Noi perdiamo”, c’è il senso ultimo di The Last Of Us, che non è la storia di una resistenza, non è la storia della lotta dell’umanità per vincere sulle spore e i funghi, ma è la storia della vita in un ambiente devastato, in quello che è il far west cioè una landa senza legge (e questo tornerà molto negli episodi successivi) e di cosa accada o cosa rimanga dell’umanità di ognuno in quel contesto. The Last Of Us parte che noi abbiamo perso e non c’è niente che possa ribaltare il risultato, possiamo solo guardare cosa succede alle persone.

In questo episodio che per la maggior parte del tempo ripropone quella che nel videogame è la fase tutorial, e quindi ha poca azione, troviamo tutto ciò che la serialità fatica a proporre. Nella cornice di una produzione imponente c’è il respiro di una narrazione ampia che non ha bisogno di un cast corale, come spesso avviene, ma vuole invece somigliare alla letteratura, cioè invece di affrontare più storie per riempire le sue molte ore con una narrazione multi strand, affronta una storia sola con grandissima minuzia, lavorando tantissima per incastrarla e contestualizzarla in un mondo la cui brutalità va raccontata fino in fondo. A questo serve ad esempio l'inizio nel mondo presente (il 2023, venti anni dopo il contagio) con una bambina che viene ritrovata e trattata molto amorevolmente e con gentilezza prima di essere uccisa con un'iniezione letale perché contagiata. Serve a mostrarci la brutalità ma anche a farci chiedere se quella falsità, quel trattarla con gentilezza in modo che non sospetti di stare per morire, sia umano o inumano. Se sia umano come Joel prende in braccio il cadavere e lo butta nel fuoco o se sia inumano. In questo mondo di diffidenze e sopravvivenza così spietata da passare sopra a tutto lui ed Ellie stringono la loro relazione.

Il resto di The Last Of Us avrà modo di emanciparsi con più forza e di trovare le proprie caratteristiche ma in questo inizio che deve riproporre come detto uno dei momenti più iconici del testo originale, c’è una vera e propria operazione di genuflessione della serialità di fronte alla videoludica. Tutta la sequenza del tentativo di fuga durante la notte di scoppio pandemico non è solo è riportata fedelmente ma è anche messa in scena tramite le stesse soluzioni di regia, gli stessi meccanismi di fotografia, gli stessi espedienti di montaggio interno. È davvero il cinema (inteso come linguaggio) che si piega a copiare il videogioco (che a sua volta ovviamente aveva adottato il linguaggio del cinema). Per questo è così importante che accanto a Craig Mazin, come showrunner ci sia Neil Druckmann (game designer e sceneggiatore) anche a lavorare alla serie, senza di lui non è detto che ci sarebbe stata una contaminazione così forte.

È impossibile e sarà impossibile separare la visione e la lettura di The Last Of Us dal confronto con il videogioco, non solo perché la serie lo cerca di continuo ma anche perché la grande particolarità di questa produzione sta proprio nel fatto che un adattamento di questo tipo non è mai stato tentato, che nessuno ha mai preso un videogioco e lo ha trattato come un romanzo nel momento in cui ne ha tratto una serie. Certo, aiuta il fatto che ci sia lo stesso Neil Druckmann alla scrittura, ma è anche una volontà produttiva forte di cambiare molte delle solite regole. Chi non ha giocato il gioco troverà una storia per molti versi ordinaria e non nuova, ma anche un mondo e un modo di procedere spesso più originali di quello che non possa sembrare da lontano.

Non importa che in molti non noteranno l’infinità di dettagli per fan (già in questo episodio una guardia che si accorge della presenza di Joel, Tess ed Ellie lo fa muovendosi come nei giochi e con l’effetto sonoro che segnala l’essere stati scoperti), quello che conta questa serie lo mette in chiaro dal primo episodio: provare ad esplorare una relazione tramite l’attraversamento di un paesaggio, che è una dinamica tipica del cinema americano ma che adesso si prova a portare in una nuova era.

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