The Last Of Us 1x06, "Kin": la recensione

Nella puntata 1x06 di The Last Of Us emerge la fatica ad adattare le parti più dinamiche del videogioco e per la prima volta un appiattimento

Critico e giornalista cinematografico


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Spoiler Alert

La recensione dell'episodio 1x06 di The Last Of Us, intitolato "Kin", disponibile dal 19 febbraio in originale e dal 27 febbraio in italiano su Sky e NOW

Se non fosse arrivato l’annuncio ufficiale che la seconda stagione di The Last Of Us si farà chi ha giocato ad entrambi i videogiochi della serie avrebbe potuto capirlo già da come in questa sesta puntata, più ancora che in precedenza, vengono mostrati luoghi che saranno poi importanti nella prossima fase del racconto, introdotti personaggi che avranno un senso maggiore dopo e messe le basi per tutta quell’altra storia. È il villaggio di Jackson in cui Joel e Ellie trovano il fratello del primo, quello organizzato esattamente come i paesini del West che sarà poi la sede da cui partirà la seconda.

Certo poi quello che vi accade dentro non è il massimo. La tipica digressione dal viaggio contenuta in ogni puntata questa volta è un po’ più moscia del solito e la sottotrama di Tommy non gira proprio benissimo. Non gira bene per Tommy e nemmeno per Joel che da questo approfondimento su di sé esce fuori non più profondo ma più stereotipato di prima, il classico maschio etero del cinema banale americano con problemi di relazione, indurito nei suoi difetti che si percepisce incapace di cambiare con una passione per l’alcol. Anche Pedro Pascal sembra un po’ a disagio nello sconfinare in quel tipo umano. Era decisamente meglio quando la sua durezza e la sua chiusura verso i sentimenti era recitata con tantissimi buchi dai quali filtrava lo stesso la luce di quel che prova.

I riferimenti ai western

Intanto sono passati tre mesi dalla puntata precedente e siamo arrivati nel Wyoming, scavallando il centro degli Stati Uniti e sempre più vicini alla costa Ovest (l’avvicinamento è anche al west geografico). Se si vuole apprezzare questa puntata non è difficile in fondo e non si può che farlo proprio dal punto di vista western, ancora più marcato di quanto già non sia. I riferimenti visivi, ovviamente, e poi la scenografia (il suddetto paesino), ma l’obiettivo è di arrivare all’essenza del west, cioè il fatto di poter raccontare personaggi soli che solcano lande la cui desolazione rappresenta quel che hanno dentro, un deserto frutto di quel che è successo nella loro vita. Gente che non ha altri che sé e si arrovella sui peccati commessi o le scelte sbagliate, senza sapere di essere alla ricerca di una qualche possibile redenzione che verrà nella forma di un duello, di una persona salvata, di una scelta contro i propri interessi o ancora di un sacrificio per gli altri.

E, a proposito di questo, proprio quel che accade nella cittadina di Jackson, i confronti un po’ goffi tra fratelli e con Ellie che ascolta, portano a ribadire la natura di sacrificio di ciò che sta facendo Joel. Si vorrebbe liberare di questo onere che considera anche un peso e darlo a qualcun altro, vorrebbe non finire questo viaggio perché non si sente in grado, ma capisce invece di dovere. Nel videogioco questo passaggio narrativo era molto più secco e diretto, non aveva tutta questa pretesa intimista e anche per questa ragione funzionava di più. Qui invece si sente molto l’esigenza di allargare, spiegare, approfondire anche senza una vera capacità di farlo, come già detto, finendo per andare a svilire Joel e renderlo uguale ad altri personaggi, invece che dandogli più personalità.

Un finale con un importante cliffhanger

Ci penserà allora la parte finale della puntata, quella nel centro di ricerca ormai vuoto e abitato dalle scimmie, a cambiare tutto. Nella puntata precedente avevamo visto la più grande presenza di morti viventi (o infetti o fungopodi se volete) da quando la serie è iniziata, l’orda che viene da sotto. Era il vero sommerso di The Last Of Us, come se gli zombie che non ci hanno fatto vedere per cinque puntate in realtà si fossero radunati tutti sottoterra per emergere finalmente nella quinta. È interessante notare che se nel gioco i contaminati dal fungo sono un po’ approfonditi, (cioè andando avanti capiamo come siano stati mangiati dal fungo, distinguiamo chi è più mangiato e chi meno, chi ha perso ogni umanità e chi ancora si muove come noi…), nella serie questo non è proprio di interesse e solo gli umani sono curati.
Nel centro di ricerca abbandonato ci sarà l’ennesimo attacco da parte di qualcuno che non accetta Joel ed Ellie, una colluttazione e alla fine una ferita non da poco, perfetta per il cliffhanger. Spiace però notare che di nuovo tutto è stato appiattito su qualcosa di più banale di come era in origine. Questione di scrittura e messa in scena in questo caso, la ferita arriva in modi prevedibili là dove nel videogioco invece era più imprevista, esplicita, chiara nelle sue conseguenze nefaste e un vero colpo inatteso. La regia della puntata è di Jasmila Žbanić, regista di Quo vadis, Aida?, e sembra abbastanza insufficiente.

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