The Last Of Us 1x02, "Infected": la recensione

Con l'episodio 1x02 The Last Of Us certifica la capacità di allungare la narrazione sia nei modi migliori che nei peggiori

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Spoiler Alert

La recensione di The Last Of Us 1x02, "Infected", in onda il 22 gennaio su Sky

Se c’è una cosa su cui sì fonda il gameplay di The Last of Us è il sonoro, la possibilità sia dei personaggi di fermarsi e ascoltare il rumore prodotto dai nemici, visualizzandone i movimenti, sia dei giocatori di essere avvertiti dell’arrivo di “qualcosa” dal suono che fa. Lo sa benissimo la serie tv tanto che uno dei primissimi trailer finiva con il caratteristico ticchettìo che fanno gli uomini trasformati in simil-zombie dal fungo Cordyceps. Il secondo episodio è tutto sul sonoro e mostra quali maniere intelligenti sono state trovate per rimettere in scena tutta una serie di momenti e caratteristiche del videogame, per motivarne alcune dinamiche e per sfruttare alcuni punti di forza.

Il viaggio di Joel e Ellie è partito, con loro c’è ancora Tess che ci lascerà alla fine di questa puntata come previsto. La maniera in cui questo accade è proprio un esempio di questi adattamenti. Le dinamiche di gioco, come spesso nei videogame, prevedono che una volta ingaggiato un combattimento con una minaccia di corsa ne arrivino altre, sempre di più, fino ad esaurimento di quella zona. È un meccanismo ludico che spinge il giocatore a non farsi vedere o sentire per non essere sommerso di nemici, ma non sempre è sensato o spiegabile narrativamente. Nei videogiochi ci si crede per via di una forma particolare di sospensione dell’incredulità giustificata dalle regole del gioco, in una serie invece no. Così viene introdotto il dettaglio dell’intelligenza comune interconnessa, tutte le creature contaminate da spore e funghi sono connesse tra loro, se una da una parte vede una preda, tutte quelle nei dintorni lo vengono a sapere. Questo causerà la spettacolare uscita di scena di Tess.

Ancora di più siccome The Last Of Us (il videogioco) è un testo complesso che quello di importante che ha da dire lo dice anche con attraverso la messa in scena, la serie deve spesso replicarne gli espedienti. Così vediamo in questo episodio una tipica situazione da interno, in cui in un ambiente buio pieno di zombie i personaggi si muovono con discrezione cercando di non fare rumore, aggirandoli o facendoli fuori silenziosamente. E come nel gioco capita che seguendo Joel questi casualmente trovi Ellie appostata, entrambi intenti ad ascoltare e attendere il passaggio di una minaccia. 

Ancora di più in questa puntata vediamo replicata la maniera in cui Ellie, nei momenti in cui i due si spostano e non ci sono minacce, danza e saltella intorno a Joel. È un trademark del gioco che poi è stato ripreso da altri (God Of War ci ha costruito tutto il suo senso) nonché una maniera fantastica di raccontare lo stringersi di un rapporto tra due caratteri opposti, uno frivolo, giovanile, dinamico e pieno di desiderio difficile da controllare e l’altro maturo, contenuto, stabile e controllatissimo. Ogni qualvolta Joel, nei movimenti e nell’atteggiamento, abbandona il suo linguaggio del corpo statico e si lascia coinvolgere dal dinamismo giocoso di Ellie, una barriera cade e noi vediamo che si sta aprendo senza bisogno di pensosi ragionamenti, scene stereotipiche o dichiarazioni esplicite.

Tutto questo procedere così strano per una serie (perché mutuato dai videogiochi) dà a The Last Of Us un passo così particolare da schiacciare immediatamente ogni paragone con The Walking Dead. All’uscita del videogioco infatti, nel 2013, la serie era alla sua terza stagione e avendo entrambi un forte punto in comune, cioè che in un futuro apocalittico con zombie la cosa più pericolosa in realtà sono gli esseri umani, era facile fare paragoni. Ora è evidente quanto fossero sbagliati. Perché al netto di questa somiglianza The Walking Dead era un racconto estremamente tradizionale, mentre The Last Of Us sembra fare di tutto, alle volte anche sbagliando, per essere diverso e fuori dai canoni.

Lo “sbaglio” nel caso specifico è la maniera in cui la serie allunga la narrazione. Ad inizio puntata il flashback sul momento in cui il fungo ha iniziato a diffondersi appartiene agli esempi migliori. Racconta qualcosa che nel gioco non c’è e lo fa con un fine narrativo, cioè spiegare a tutti che non esiste nessuna salvezza né nessuna cura da questa infezione (dettaglio che più avanti sarà utile), c’è solo lo sterminio. Più avanti invece, e questo secondo episodio lo mostra, il tentativo di ricreare quella distensione e quella dilatazione possibile in un videogioco che dura decine di ore si traduce in un po’ di noia. La serialità, specialmente quella premium, ci ha abituato al contrario, a racconti molto densi, in cui il mistero e il rimando del mistero sono un gancio fortissimo. The Last Of Us non solo non ha nessun mistero ma non è per nulla denso, gli eventi per ogni puntata si concentrano in certi punti e anche se clamorosi non riescono a reggere tutta la durata. A compensare dovrebbe essere l’interazione tra i due, come già detto, ma al netto di trovate interessanti sembra che non sempre l’impresa sia riuscita. Siamo solo al secondo episodio ma già è necessaria un po’ di più concretezza, per fortuna il terzo, tra una settimana, ne regalerà a pacchi. 

Continua a leggere su BadTaste