L'Arte Della Fuga, la recensione
Senza nessuna voglia di lavorare sui personaggi, L'Arte Della Fuga racconta una storia che invece proprio di quello avrebbe avuto bisogno
Un omosessuale, un donnaiolo che i genitori hanno deciso di voler sistemare a tutti i costi con una fidanzata che tradisce regolarmente e uno più impacciato e in difficoltà in tanti aspetti della vita che è rimasto troppo a ricasco della famiglia con conseguente amarezza, sono il trio che non fa che ripetere a tutte le persone che si esprimono sul loro rapporto con i genitori: “Sono i miei, non puoi capire”.
Con un cast di attori impeccabile è infatti sorprendente quanto tutto L’Arte Della Fuga sia recitato a tirar via. La messa in scena è molto calma e naturale, con qualche piccolo assolo e qualche pianto espressionista, quel tipo di film che necessitano di una concentrazione fortissima sulle interpretazioni per rendere empatico uno scenario familiare che da fuori non lo sembrerebbe.
Invece così com’è L’Arte Della Fuga è un inspiegabile ritratto di una famiglia odiosa i cui membri non è mai chiaro come mai siano così legati tra loro. Serve a pochissimo avere Laurent Lafitte a condurre tutto (nei panni del fratello omosessuale) se poi l’impressione che si ha in ogni scena è che la giornata di riprese stesse per finire e occorresse sbrigarsi.