Lapsis, la recensione | Trieste Science+Fiction Festival 2020

Un approccio satirico alla società contemporanea è alla base di Lapsis, un'opera prima ricca di spunti interessanti sostenuto dall'interpretazione del protagonista Dean Imperial

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Noah Hutton si allontana dai progetti di genere documentario per proporre un approccio satirico alla società sfruttando un racconto ambientato in una realtà alternativa che non appare poi così distante da ciò che sta accadendo in questi anni in tutto il mondo.
Il risultato, presentato in Italia al Trieste Science+Fiction Festival 2020, è un racconto che colpisce con la sua rappresentazione di un tentativo di sopravvivere a un sistema economico che lascia davvero poca speranza e chance all'uomo comune.

Il protagonista è Ray (Dean Imperial), un uomo di mezza età che cerca di pagare le cure mediche del fratellastro Jamie (Babe Howard) che soffre si una sindrome legata all'affaticamento, Omnia. Per ottenere la cifra necessaria l'uomo decide di accettare un lavoro per una società chiamata CBLR e diventare una delle tante persone impegnate a stendere cavi nel terreno nel cuore della foresta, con lo scopo di far funzionare la nuova rete quantica del mercato globale. I guadagni sono legati alle performance lavorative, registrate su un'app e Ray si ritrova tra le mani un dispositivo già "usato" da un utente chiamato Lapsis Beeftech, potendo così sfruttare delle strade abitualmente non percorribili dai nuovi arrivati e molto più redditizie. Al lavoro Ray fa inoltre i conti con la concorrenza di nuovi robot cablatori, che rischiano di causare danni seri ai lavoratori del settore, e incontra l'esperta Anna (Madeline Wise), che ha un legame con il misterioso Lapsis, oltre a scoprire l'esistenza di una rete di attivisti che cercano di trovare un modo per obbligare la società a trattare in modo più equo i suoi dipendenti.

Hutton sviluppa con originalità l'idea delle multinazionali che si arricchiscono alle spalle dei lavoratori offrendo compensi minimi e poche possibilità di miglioramento sociale e professionale. Lapsis riesce però a essere così efficace grazie all'interpretazione di Dean Imperial, vera rivelazione del film, che dà vita in modo impeccabile a un protagonista emblema della mediocrità e costretto a trovare dentro di sé la forza di resistere di fronte alle avversità per aiutare il fratello, trasformandosi involontariamente in una figura eroica.

Noah Hutton, alle prese con il suo primo progetto di finzione, firma una sceneggiatura e una regia in grado di equilibrare la critica sociale a un umorismo cinico e tagliente, riservando nella seconda metà di Lapsis numerose sorprese e svolte che aiutano a rendere avvincenti l'evolversi delle situazioni. Il filmmaker ha inoltre firmato la suggestiva colonna sonora del progetto e il convincente montaggio, riuscendo a lasciare in ombra un epilogo della storia che appare leggermente affrettato e meno significativo di quanto ci si potrebbe attendere.
I paragoni con le opere di Ken Loach e dei fratelli Coen sono comprensibili, tuttavia Hutton dimostra una propria personalità già ben definita e la capacità di gestire in modo ottimale gli spazi (davvero ben costruite sequenze ambientate in mezzo alla natura) e gli interpreti a propria disposizione.
Lapsis risulta un'opera prima imperfetta e al tempo stesso sorprendente per la sua capacità di addentrarsi nelle strutture socioeconomiche con un approccio originale e pieno di inventiva.

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