L'amica geniale 3 - Storia di chi fugge e chi resta, recensione episodio 1 e 2

Comincia subito benissimo la terza stagione de L'amica geniale, attaccata alla seconda ma foriera di tantissime promesse di evoluzione

Critico e giornalista cinematografico


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Spoiler Alert
L'amica geniale 3 - Storia di chi fugge e chi resta, la recensione dei primi due episodi in onda su Rai 1 il 6 febbraio

Lenù ha scritto il suo primo romanzo, La divagazione, l’avevamo visto nella stagione precedente, e nella prima puntata (tutta su di lei come la seconda sarà tutta su Lila) vediamo come non riesce ad importargliene granchè del successo, che pure il romanzo ha, e delle vendite, che pure non sono male, le importa solo di cosa pensano le persone a lei vicine, sia il circolo più intellettuale che frequenta, cioè il suo presente, sia poi la sua famiglia di origine e il quartiere di origine, cioè il suo passato. Su tutti le importa cosa ne pensi Lila, il modello a cui aspira ad aderire, il simulacro delle proprie aspirazioni a cui delega il proprio giudizio su di sé. Quello che era prima che tutto cambiasse a cui chiede “Come sono cambiata?”.

La terza stagione attacca con una dinamica chiave della vita intellettuale, l’idea che il giudizio più forte e importante non sia quello di un pubblico grande ma necessariamente invisibile, fatto dei lettori reali, ma quello di un pubblico molto ristretto e visibile, quello di chi circonda l’autrice. È una stortura, perché il pubblico vicino non ha credenziali maggiori di quello grande e invisibile, ma nondimeno è una debolezza reale. Come lo è l’esigenza di un giudizio dal passato, l’impossibile desiderio di parlare con un sé non contaminato e chiedergli se è soddisfatto di cosa si sia diventati. Quel sé Lenù è convinta che sia Lila, così coerente da non essere cambiata. Lei.

Da questo parte la prima puntata per scavare nel rimosso di Lenù, in ciò che sì sta portando appresso mentre cresce, il senso di colpa per avercela fatta e aver lasciato indietro Lila, il senso di inadeguatezza al sistema in cui è inserita, il desiderio di essere e il disprezzo per ciò che è stata. Come sempre questo livello avanzatissimo di riflessione sulle persone, è accompagnato dalla trama più svelta, fatta di matrimoni richiesti e ribellioni alla vita in fabbrica.

Lungo tutto il primo episodio è forte l’idea che il mondo intorno a Lenù, il suo passato, la ancori e la tenga in basso. Si sta per sposare, un matrimonio che la fa entrare in un mondo diverso ma la famiglia rumoreggia perché non è un matrimonio in chiesa, scrive un romanzo ma la famiglia la insulta perché tutti credono che le storie di finzione che ha scritto siano le sue storie vere, che quindi lei sia come la protagonista e che quindi sia, cosa inaccettabile, una libertina. Ha visioni del quartiere che la aggredisce, come anche del marito che nel proporre il matrimonio la soffoca.
L’amica geniale è la storia di due donne che si divincolano dalla posizione in cui la società metteva le donne nelle epoche in cui hanno vissuto. E la nuova presentazione di Lenù (perché ogni nuova stagione ri-presenta i personaggi) conferma il suo atteggiamento remissivo nei confronti di quello che non le sta bene. Uno che però poi non le impedisce di arrivare dove desidera. Che è l’essenza della storia fino ad ora: la società punisce le donne che manifestano la propria rabbia e premia quelle che la sopprimono per trovare strade alternative.

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Nel secondo episodio non soffre di meno Lila infatti, anche lei messa in una posizione che non tollera (impiegata nella fabbrica in cui smista carne di maiale tutto il giorno, vittima riottosa di sessismo ordinario e molestie sul posto di lavoro che non stupiscono nessuno). Lenù subisce e riparte, assorbe sul suo corpo la sofferenza, come una spugna e avanza, Lila invece respinge tutto, si ribella con violenza, apertamente, senza mediare e senza cercare altre strade, si oppone con rabbia e regolarmente viene punita dalla società. Lenù è accettabile, Lila è inaccettabile perché sbatte in faccia a tutti quelli che la circondano quello che sono e quello che fanno, come uno specchio.
Non è mai stato difficile vedere nelle due protagoniste le due facce di una ribellione e le due parti che sì agitano in molte donne. Qui è bellissimo il modo in cui questo conduce al successo o all’insuccesso. Sarà interessante vedere che accadrà negli anni delle contestazioni forti in cui, in teoria, quell’atteggiamento sfacciato e ribelle dovrebbe essere portato in palmo di mano.

Perché come sempre la scrittura fa bene attenzione a mostrare il mondo popolare e quello intellettuale allineati nella considerazione della donna, pronti a maltrattare, marginalizzare e umiliare in modi diversi ma con lo stesso fine: il mantenimento della posizione di vantaggio degli uomini e il perpetuarsi della gerarchia tra sessi. Lenù ha obiettivamente successo eppure è sempre marginale, nessuno sembra mai considerarla davvero se non per timidi assalti sessuali. Lila è più sveglia degli altri intorno a lei, tutti lo riconoscono, eppure non è mai davvero considerata. Una cosa le unisce: non vogliono essere come le loro madri. Non vogliono replicare i modelli con cui sono cresciute. Negli anni ‘60 speravano in un mondo migliore e ci hanno provato, negli anni ‘70 sono stufe di aspettare.

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Con il passaggio della regia da Saverio Costanzo a Daniele Luchetti i mutamenti sono pochi (com’è normale che sia, la continuità è l’obiettivo primario) ma essenziali. Scompare l’aria di orrore che caratterizza sempre la messa in scena di Costanzo, cioè l’uso di situazioni, immagini e composizioni da cinema di paura per raccontare come la realtà intorno ai personaggi abbia sempre connotazioni spaventose anche quando è ordinaria e casalinga, come la vita vera confini di pochissimo con quella mostruosa. È presto per capire se Luchetti sarà in grado di trovare in una stagione intera quelle 3-4 immagini cruciali che invece Costanzo è stato capace ogni volta di mettere a segno (ad esempio come aveva inquadrato la madre di Lenù andare via dopo che era andata a trovarla a Pisa, nella mestizia solitaria, è un momento di eccezionale creatività) o se riuscirà ad imprimere al racconto lo sguardo personale come aveva fatto Alice Rohrwacher in sole due puntate (la maniera in cui guarda le ragazze è unica e stupisce ogni volta, con un piacere e un’attrazione che non hanno niente di sessuale e tutto di misterioso).

Di certo la sua è una regia più educata e addomesticata, per bene e rigorosa, che sa come mettere in fila fatti, personaggi e situazioni per rendere fluido il racconto. Ad esempio è molto bravo in queste due puntate a lasciar emergere senza clamore ma con decisione la maniera in cui la ri-presentazione delle due protagoniste ci dice una cosa e il suo opposto. Ci parla cioè del senso di impotenza di Lila di fronte al desiderio di migliorare le condizioni di vita per il futuro del figlio, di riuscire a garantirgli un domani migliore del suo, in parole povere racconta come all’epoca qualcuno nella posizione di Lila vedesse come impossibile una scalata sociale per il proprio erede, perché chi sta in cima metterà i suoi figli in cima e viceversa. Eppure poi mostra Lenù che sta facendo esattamente quello, che dal quartiere accede all’aristocrazia intellettuale e da protagonista, non sposando qualcuno ma scrivendo un romanzo.

Ed entrambe le considerazioni suonano come vere, oneste, sincere.

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